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1.6 Varie tipologie di bullismo e cyberbullismo

Bullismo

Esistono diversi modi di mettere in atto forme di bullismo. 

Può essere fisico, quando si attua attraverso aggressioni e prevaricazioni per l'appunto fisiche (colpire, calciare, spintonare, percuotere, pizzicare o aggredire con oggetti). Ma può riferirsi anche ad una violenza sulle cose o contro le proprietà, attraverso, ad esempio, la sottrazione di oggetti, il danneggiamento degli stessi, o estorcendo denaro al target. In genere questa è la forma più semplice da individuare. 

Può manifestarsi però anche in una forma verbale, attraverso insulti, prese in giro, aggressioni verbali. Significa deridere, schernire ripetutamente il target, apostrofarlo/a con nomignoli umilianti, fare commenti riguardo al modo di vestire o parlare, fare commenti razziali o sessisti. Questa forma di violenza reiterata nel tempo comporta un progressivo e deleterio logoramento interiore nel target. Ma esiste anche la violenza indiretta o psicologica, ​che si attua prevalentemente attraverso la divulgazione di maldicenze, l’esclusione intenzionale, la diffusione di pettegolezzi fastidiosi o attraverso minacce, umiliazioni e derisioni. Si definisce invece relazionale quando comporta l’isolamento della vittima. Anche ignorare qualcuno rientra in questa forma di bullismo. Questa in particolare si riferisce ad una forma di «aggressione» che si manifesta soprattutto sotto forma di «subdolo pettegolezzo» e che riguarda maggiormente il sesso femminile, più che quello maschile.

Cyberbullismo 

Il cyberbullo può infliggere una violenza o un danno psicologico immediato e a lungo termine al proprio bersaglio attraverso vari modi: 

  • Cyberbashing

  • Harassment o Put Down

  • Denigration

  • Cyberstalking

  • Flaming

  • Impersonation

  • Exclusion

  • Outing o Trickery

  • Exposure

  • Sexting

  • Sextortion


CYBERBASHING

Il CYBERBASHING è la forma di cyberbullismo più frequente e si evidenzia quando una vittima viene aggredita, colpita o molestata mentre un gruppo di spettatori riprende la scena con la fotocamera del telefono per poi divulgare le immagini e i filmati nel web. 

Le prevaricazioni digitali sono all’ordine del giorno e vengono utilizzate dai ragazzi al fine di umiliare, attaccare e denigrare gli altri, molte delle quali sono sconosciute a gran parte degli adulti.

Si tratta di forme di violenza, spesso agite in branco, in cui viene utilizzata la forza fisica con l’intento di far male: ragazzi che si prendono a pugni e a calci, ragazze che si picchiano e si tirano i capelli mentre gli altri restano a guardare ciò che accade, senza intervenire, se non a commentare e ad incitare a continuare, mentre registrano il tutto dietro lo schermo di uno smartphone. I video sono poi postati su gruppi e pagine con l’hashtag WorldStar, diffuse in più parti del mondo: ormai per essere visibili e popolari, ricevere like, commenti e condivisioni su un video che attira l’attenzione, si fa davvero di tutto.

Parliamo di 4 adolescenti su 100 che filmano e riprendono i compagni nel mentre che vengono picchiati e subiscono violenze fisiche, senza minimamente intervenire, lasciandoli alla mercé di questo tipo di violenze (Dati Osservatorio Nazionale Adolescenza).

L’aspetto più allarmante è la condivisione, l’apprezzamento e l’istigazione all’odio che c’è in rete: in pochissimo tempo, infatti, i filmati raggiungono migliaia di visualizzazioni e like. Nessuno interviene, anzi, la maggior parte di chi visiona questi video è come se stesse guardando un film, ride, si diverte, si esalta, commenta con insulti e condivide, alimentando il fenomeno.

Le pagine dove sono raccolti questi filmati sono state segnalate e chiuse più volte ma poi riaperte con altri nomi, tanto che la maggior parte dei video resta reperibile in rete, attivando un effetto contagio potentissimo.

Si rischia di favorire una normalizzazione, una maggiore accettazione di tali comportamenti da parte di chi è già propenso a questo tipo di violenze. C’è anche una profonda deresponsabilizzazione in coloro che guardano e non fanno nulla perché non si sentono coinvolti in prima persona, perché si coprono dietro al fatto che “non sono loro a fare a botte”. Lo schermo, inoltre, deumanizza, spoglia dei sentimenti e delle emozioni, in chi non si mette minimamente nei panni della vittima e non mostra alcuna solidarietà nei suoi confronti.

In questi ragazzi, manca totalmente la consapevolezza di ciò che fanno sia verso se stessi che verso gli altri, non riuscendo a capire il limite tra gioco, divertimento, prevaricazione e violenza. Manca un’educazione su tutti i fronti, che deve coinvolgere anche tutti quegli spettatori che, se intervenissero subito e se non condividessero, potrebbero almeno arginare questo tipo di fenomeni così violenti.

 

HARASSMENT e PUT DOWN

L’HARASSMENT (che significa molestia) consiste nell’invio ripetuto di messaggi offensivi, sgradevoli, diffamatori ed ingiuriosi, che vengono inviati, in modo ripetuto nel tempo, attraverso i mezzi tecnologici (chat, email, sms, blog, telefonate anonime). 

Put down (denigrare): ovvero denigrare qualcuno attraverso e-mail, sms, post inviate ad un blog, ovvero un gruppo di persone. Tale strumento mira a colpire non la persona per come realmente è, ma la sua reputazione agli occhi degli altri, che viene compromessa non solo nel web ma anche da tutti coloro i quali sono informati dal cyberbullo.

Si tratta, dunque, di una relazione sbilanciata nella quale, come nel tradizionale bullismo, la vittima è sempre in posizione one down (Watzlawick, Beavin, Jackson, 1971), subisce, cioè, passivamente le molestie o, al massimo, tenta, generalmente senza successo, di convincere il persecutore a porre fine alle aggressioni. Può talvolta anche accadere che il target replichi ai messaggi offensivi con comunicazioni altrettanto scortesi ed aggressive con l’unico intento di far cessare i comportamenti molesti.In alcuni casi, il cyberbullo, per rafforzare la propria attività offensiva, può anche coinvolgere i propri contatti on line (mailing list), che, magari pur non conoscendo direttamente lo studente target, si prestano a partecipare alle aggressioni on line (si potrebbe definire il fenomeno “harassment con reclutamento volontario”, Pisano, 2008).

Ecco una storia esplicativa di questo fenomeno:

“Valeria è felice. Finalmente, dopo mesi, è riuscita a mettersi insieme a Manuel, il ragazzo di seconda che le piaceva fin dall’inizio della scuola. Ha superato la timidezza e sabato, alla festa di Luca, ha chiesto a Manuel se voleva stare con lei. Lui, dopo un lunghissimo istante di silenzio, ha detto sì. Valeria è al settimo cielo e scherza con le amiche via chat. C’è chi scherza dicendo che è fortunata ad avere un ragazzo così bello e chi le fa i complimenti per la conquista. Valeria ride, imbarazzata e felice al tempo stesso. 

Poi lo smartphone trilla nuovamente: è un sms da un numero sconosciuto. Il messaggio è brutale: “Te la faccio pagare”. Valeria è stupita, pensa sia un errore, un messaggio destinato a qualcun altro. Poco dopo, lo smartphone trilla di nuovo: è lo stesso numero, e il messaggio è ancora più minaccioso. Valeria sbianca, deglutisce lentamente. Poi si fa coraggio e scrive: “Chi sei?”. Nessuna risposta. 

Per il resto della giornata, l’utente misterioso non risponde e non la cerca. Lo stesso accade il giorno dopo, così Valeria torna a essere tranquilla. Finalmente può pensare solo a Manuel, con cui si scambia una serie infinita di messaggi dolci. 

Ma dopo tre giorni, il numero sconosciuto ritorna, e questa volta non lascia scampo a dubbi: “Mi hai rubato Manuel”. Valeria si sente invadere dalla rabbia: lei non ha rubato il ragazzo a nessuno, è Manuel che l’ha scelta. Prova a capire chi sia il mittente, ma non riesce ad avere informazioni certe. 

E intanto i messaggi aumentano, diventano una costante delle sue giornate, come la paura che le attanaglia lo stomaco ogni volta che il telefono squilla. Valeria inizia anche a temere il tragitto da casa a scuola: ha paura che qualcuno arrivi all’improvviso a farle del male. E alla fine decide di troncare con Manuel. Non vuole più vederlo, perché il disagio accompagna ogni momento passato con lui.”


DENIGRATION

La DENIGRATION consiste nella diffusione online di maldicenze, menzogne o dicerie, pettegolezzi, ​spesso di tipo offensivo e crudele, allo scopo di ​diffamare o insultare qualcuno o danneggiare la sua reputazione e i suoi rapporti personali.

I cyberbulli possono, infatti, inviare o pubblicare su internet immagini (fotografie o videoclip) alterate del target, ad esempio, modificando il viso o il corpo dello studente target al fine di ridicolizzarlo, oppure rendendolo protagonista di scene sessualmente esplicite, attraverso l’uso di fotomontaggi.

In questi casi, i coetanei che ricevono i messaggi o visualizzano su internet le fotografie o i videoclip non sono, necessariamente, le vittime (come, invece, prevalentemente avviene nell’harassment e nel cyberstalking) ma spettatori, talvolta passivi del cyberbullismo (quando si limitano a guardare), più facilmente attivi (se scaricano – download – il materiale, lo segnalano ad altri amici, lo commentano e lo votano).

Dunque, a differenza di quanto avviene nel cyberstalking, l’attività offensiva ed intenzionale del cyberbullo può concretizzarsi in una sola azione (esempio: pubblicare una foto ritoccata del compagno di classe), capace di generare, con il contributo attivo, ma non necessariamente richiesto, degli altri utenti di internet (“reclutamento involontario”,Pisano, 2008), effetti a cascata non prevedibili.

Ricordiamo, infine, che la denigration è la forma di cyberbullismo più comunemente utilizzata dagli studenti contro i loro docenti: numerosi sono, infatti, i videoclip, gravemente offensivi, presenti su internet, riportanti episodi della vita in classe. In alcuni casi le scene rappresentate sono evidentemente false e, dunque, ri-costruite ad hoc dallo studente, talvolta sono, purtroppo, vere.

Ecco un esempio concreto:

“Marco è al primo anno di scuola media ed è approdato in una classe dove non conosce nessuno: stringere nuove amicizie è difficile. A rompere il ghiaccio, ci pensa Annalisa: dopo aver chiesto il numero di cellulare a tutti, la sua compagna crea su WhatsApp il gruppo di classe. I ragazzi iniziano a interagire. C'è chi scrive battute, come Giacomo, chi manda foto curiose, come Sara, e chi, come Gloria, risponde solo con emoticon sorridenti e semplici "ahah". Altri, invece, visualizzano le conversazioni ma non partecipano. Annalisa non si preoccupa: prima o poi sarà anche il loro turno.  Il gruppo su WhatsApp sembra aiutare anche nella vita reale, perché i ragazzi ora si ritrovano a parlare di quella foto condivisa o quella canzone che Sara ha linkato. 

Va tutto bene, insomma. Fino a quando non arriva il compito di matematica. Il giorno prima tutti ne parlano, e si scambiano promesse di "aiutarsi" e “suggerire”. Il dibattito, sul gruppo, continua anche al termine del test. E per la prima volta, Dario interviene.  Dario siede a due posti da Marco: sta sempre sulle sue e parla poco. I suoi migliori amici sono in altre classi e lui passa la ricreazione con loro. Durante il compito Dario è finito accanto a Marco e, per tutta l’ora del test, gli ha chiesto i risultati. Ma Marco non è riuscito ad aiutarlo perché la professoressa lo teneva d’occhio.

Dario quindi esordisce nel gruppo con un'accusa ben precisa: Marco si è rifiutato di passargli il compito. È un'accusa falsa e piena di offese. Marco cerca di giustificarsi, ma Dario continua ad insultarlo. Qualcuno prova a fermare il compagno, ma si stufa quasi subito: d'altronde il suo attacco è solo nei confronti di Marco e tutti preferiscono parlare d'altro.

Solo Annalisa scrive un messaggio privato all'amico ingiustamente attaccato: gli dice di lasciar perdere, che Dario sta dicendo solo bugie e che nessuno gli crede. A Marco, però, quelle parole dure fanno male. Non riesce a non dar loro peso. E così, quello che prima era uno spazio dove divertirsi, diventa ora un terreno di scontro, e Marco perde la voglia di interagire con i compagni…”

 

CYBERSTALKING

Il CYBERSTALKING consiste nell’ invio ripetuto di messaggi intimidatori contenenti minacce e offese. Può considerarsi una vera e propria persecuzione telematica a seguito della quale il target inizia a temere per la sua incolumità fisica. 

Se l’Harassment comporta prendere di mira qualcuno ogni tanto, il Cyberstalking (persecuzione online) è un incessante fuoco di fila, che punta a spaventare la vittima con minacce, anche di violenza fisica.

“È sabato pomeriggio e Mattia è andato al parco con i suoi compagni per fare una partita di calcio contro i ragazzi più grandi del quartiere. Poco prima dell'ultimo gol, quello che deciderà la sfida, Mattia vede avanzare l'attaccante della squadra avversaria. Decide di contrastarlo con un fallo piuttosto irruento, e lo atterra. I compagni recuperano la palla e segnano in contropiede.  Tra i compagni, Mattia diventa l'eroe, quello che ha salvato la partita. Ma l'attaccante della squadra avversaria non la pensa così: a un certo punto, gli si avvicina e gli sussurra qualcosa di incomprensibile all’orecchio, poi si allontana.

Il giorno dopo, Mattia trova un messaggio nella chat di Facebook. Il mittente è il ragazzo più grande, e il testo è una minaccia con un chiaro riferimento alla partita di sabato. Passano venti minuti, e all’indirizzo di posta elettronica di Mattia arriva una mail: l’oggetto è una provocazione. Un'ora dopo arrivano altre quattro mail che contengono foto violente. L'oggetto è un raggelante: "Vuoi finire così?"

Mattia non perde la calma, e decide di lasciar perdere. Spera che il ragazzo più grande prima o poi si stancherà. Ma non è così. Dopo una settimana, Mattia ricomincia a ricevere almeno dieci messaggi di minaccia su Facebook e tre mail diverse ogni giorno, piene di dettagli su cosa potrebbe succedergli se si facesse trovare in giro da solo. 

Mattia inizia ad aver paura e comincia a non voler più uscire di casa da solo. Rinuncia persino a fare il suo solito giro in bicicletta per il quartiere, cosa che aveva sempre adorato fare subito dopo pranzo. 

Dopo un mese i messaggi aumentano ulteriormente, ma Mattia preferisce non parlarne con nessuno per non fare la figura del codardo. Ma ora non esce praticamente più: anche quando è in compagnia non si sente sicuro e le rare volte che si trova con gli amici passa tutto il tempo a guardarsi intorno, preoccupato.

"Che cosa c’è? Tutto a posto?" gli chiede il suo miglior amico Francesco.

Mattia minimizza: prima o poi quel ragazzo smetterà di minacciarlo. Forse.”