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1.7.1 Le cause del bullismo

I contesti individuali​, familiari e sociali rappresentano fattori di rischio che incidono sul comportamento dei ragazzi e che determinano l’aggressività di un aggressore. 

A livello individuale possono riferirsi al temperamento, alla predisposizione verso giochi maneschi, alla diagnosi accertata (o la tendenza) verso un deficit di attenzione e di iperattività, alle limitate competenze e capacità di problem solving. Nei ragazzi tendenzialmente più «irruenti» e con «un carattere forte» sussiste una maggiore probabilità di sviluppare in futuro comportamenti da aggressore. Ciò, ovviamente non costituisce una certezza, ma a livello statistico, è stato verificato che i bambini che vengono considerati più vivaci, tendono nel tempo ad essere maggiormente aggressivi e avere manifestazioni tendenti al bullismo: ragazzi amanti dei «giochi di contatto», perennemente pronti ad intervenire in ogni situazione, tendenzialmente poco timidi. Chi invece ha un temperamento più tranquillo e viene definito come un ragazzo timido, che non ama il rischio, il classico «bravo ragazzo» in poche parole, svilupperà con più difficoltà tali atteggiamenti. Si tratta ovviamente di percentuali: è più o meno probabile, ma non «certo» o «da escludersi». Anche la propensione verso giochi e atteggiamenti maneschi costituisce un altro fattore di predisposizione allo sviluppo di comportamenti tendenti al bullismo. Infine la presenza di una limitata competenza di problem solving​, (intesa come la capacità di trovare soluzioni più efficaci ed adeguate in risposta ai gesti altrui), può essere considerata come una caratteristica di rischio: il soggetto effettivamente non riesce a relazionarsi in modo adeguato con gli altri perché non possiede gli strumenti che glielo permettono. 

Attraverso l’analisi del raggruppamento diagnostico dei ‘Disturbi da deficit di attenzione e da comportamento dirompente’ presente nel DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) è facile intuire come il bullismo si possa collocare a cavallo tra il disturbo della condotta e quello oppositivo-provocatorio. 

Il Disturbo della Condotta è caratterizzato da una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri oppure le norme o le regole della società vengono violate. Questa tipologia di comportamento è presente in diversi ambienti e può causare compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico, o famigliare. 

I bambini e gli adolescenti possono mostrare un comportamento prepotente, minaccioso, o intimidatorio; essere fisicamente crudeli con le persone o con gli animali; danneggiare deliberatamente le proprietà altrui ecc.. 

La sfera affettiva risulta compromessa, infatti, nel momento in cui il soggetto compie l’azione violenta non sperimenta alcun rimorso o empatia per la propria vittima, ma reagisce con profonda frustrazione e alta reattività agli stimoli arrivando a compiere vere e proprie violenze (DSM-5 American Psychiatric Association, 2014). 

Il Disturbo Oppositivo Provocatorio, invece, non si manifesta con atti di aggressività diretta quanto piuttosto attraverso un atteggiamento negativistico, provocatorio, disobbediente ed ostile nei confronti delle figure che rappresentano l’autorità, in particolare gli adulti. L’ostilità e la provocazione sono espresse con persistente caparbietà, resistenza alle direttive, scarsa disponibilità al compromesso, alla resa o alla negoziazione sia con gli adulti che con i coetanei (DSM-5 American Psychiatric Association, 2014). Questo tipo di disturbo è meno grave del precedente ma può evolvere in Disturbo della Condotta quando si trasforma da comportamento naturale per una determinata fase evolutiva a oppositività anomala e persistente, che inficia tanto le relazioni sociali quanto il rendimento scolastico (DSM-5 American Psychiatric Association, 2014). Molteplici sono i modelli teorici che hanno cercato di spiegare l’aggressività e il bullismo e, per meglio comprendere i fattori del disagio o della devianza, solitamente i ricercatori si sono concentrati su due direttrici di ricerca: da un lato un approccio fortemente ambientalista che attribuisce l’origine causale dei comportamenti ‘devianti’ a fattori socio-familiari; dall’altro troviamo l’approccio genetico - biologico che riduce i fattori di rischio alle componenti costituenti del singolo (Rutter, Giller, & Hagell, 1998). La ricerca ha sottolineato come, sia la teoria dell’interazione sociale, sia la teoria del controllo sociale contengano in nuce quelli ritenuti come i principali fattori della devianza (Patterson, Reid, & Dishion, 1992). Entrambe le teorie affermano che la personalità del bambino si struttura a partire dalla relazione con i genitori, i quali diventano agenti di facilitazione dei valori convenzionali e conseguentemente dell’acquisizione delle funzioni di controllo (ibidem). È la teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1989) che chiarifica la funzione protettiva che una relazione sana con il caregiver può assumere nello sviluppo del bambino, o al contrario, quanto un rapporto conflittuale possa divenire sinonimo di difficoltà nel processo di crescita. Inoltre, non bisogna dimenticare, un’ampia parte di letteratura che evidenzia come episodi di bullismo, subiti e perpetrati, nell’infanzia e nell’adolescenza abbiano forti probabilità di sfociare in gravi disturbi della condotta in tarda adolescenza e nell’età adulta (Menesini, 2000). Oliverio Ferraris (2008) schematizza le cause originarie degli atti persecutori affermando che il bullismo si fonda su un disagio familiare che spinge il soggetto a mettere in atto comportamenti vessatori essenzialmente per due differenti motivazioni: apprendimento e rivalsa. Nel primo caso il soggetto ripropone in classe il modello di comportamento violento appreso in famiglia. Nel secondo, riattualizza ciò che ha appreso come vittima di aggressioni, invertendo però il proprio ruolo. Tali teorie sono fondamentali per comprendere il fenomeno del bullismo, ma se prese singolarmente non risultano esaustive, infatti, questo tipo di comportamento aggressivo non lascia spazio a modelli causali unilineari, in quanto si presenta come fenomeno multicomponenziale derivante dall’interazione di numerosi fattori, distali e prossimali, che ne spiegano non solo le differenti tipologie, ma anche le variegate traiettorie evolutive e i molteplici tassi di stabilità o mutamento nel tempo (Fedeli, 2007). A tal proposito una variabile importante e, che spesso viene sottostimata, è il periodo di insorgenza dei comportamenti bullistici, indice fondamentale di cronicità e/o transitorietà del fenomeno nel tempo. La comparsa, già a partire dai primi anni della scuola dell’infanzia, di comportamenti violenti – non solo rivolti ai compagni ma anche diretti verso gli adulti – in associazione ad una modulazione emozionale molto compromessa, presenta una forte stabilità nel tempo e cross-situazionale che può condurre con maggiore probabilità alla cronicizzazione di tali comportamenti e a forme di aggressività di gravità sempre maggiore (Fedeli, 2006). Le azioni aggressive, che insorgono in età adolescenziale, al contrario, assumono una valenza prioritariamente relazionale con lo scopo di far assumere al singolo un’identità, di ruolo e posizione, all’interno del gruppo e quindi la loro natura è prettamente situazionale e limitata nel tempo (Vitaro, Tremblay, & Bukowski, 2001), anche se la particolare fase di insorgenza, già di per sè caratterizzata da turbamenti e cambiamenti, ha canalizzato l’attenzione degli studiosi della materia più sulle criticità evidenziabili nelle fasi di sviluppo precedenti. Alcuni studiosi americani (Loeber & Hay, 1997), per esempio, si sono occupati di rintracciare l’età di insorgenza di tre diversi tipi di aggressività, suddivisi per livelli di gravità, giungendo alla constatazione empirica che è possibile tracciare un ordine di insorgenza in relazione alla maggiore o minore gravità delle forme aggressive, ma soprattutto, hanno verificato che i fenomeni antisociali, con livelli di gravità più elevati si presentano proprio durante il periodo adolescenziale, a conferma, non solo della natura relazionale di tali comportamenti durante la fase adolescenziale della vita degli individui, ma anche della maggiore incapacità degli adolescenti stessi di gestione delle proprie emozioni e di predilezione per le modalità comportamentali di passaggio all’atto. 

Nell’ambito familiare​, comportamenti particolarmente aggressivi da parte dei genitori o errati stili educativi come quello permissivo, o eccessivamente autorevole, distratto o autoritario, possono determinare l’insorgenza del fenomeno del bullismo. 

Genitori che spesso hanno atteggiamenti aggressivi o ricorrono frequentemente alla violenza costituiscono un errato modello di riferimento. Per questo motivo, i bambini che vivono in ambienti familiari ostili hanno maggiore predisposizione a sviluppare poi comportamenti da bullo. Dunque, le famiglie nelle quali sono diffusi atteggiamenti al limite della legalità, o chiaramente delinquenziali, sono ovviamente ambienti a più elevato rischio. Ma anche una scarsa attenzione alle abitudini, alle esigenze, alle passioni e agli interessi dei propri figli e il disinteresse o il disimpegno educativo nei loro confronti, influisce sullo sviluppo e sui comportamenti dei ragazzi: a volte i genitori sono totalmente impreparati rispetto ciò che accade quotidianamente ai loro figli. 

Altresì, l’imposizione di regole severe da parte loro, che poi però non vengono fatte rispettare, promesse di punizioni che poi non hanno un seguito o anche reazioni esagerate che si alternano ad atteggiamenti di indifferenza, determinano l’incremento di condotte scorrette dei ragazzi, che, a seguito di ciò, non riescono realmente a comprendere e capire la gravità delle loro azioni. 

Il gruppo di amici, l’ambiente scolastico e quello sociale rappresentano fattori di influenza a livello sociale. 


Il bullismo è anche, e soprattutto, un fenomeno di gruppo caratterizzato da una dinamica particolare, nel quale giocano un ruolo decisivo non solo i giovani che commettono atti di bullismo e i target ma anche tutti quei soggetti che sembrano non coinvolti o che sono sostenitori degli uni o degli altri (Salmivalli, Lagerspetz, Bjorkqvist, Osterman, & Kaukiainen, 1996). Il gruppo, in tali situazioni, assume le sembianze di una monade (Anzieu, 1986), funziona come un’unità che si auto-sostanzia nel bisogno dei suoi membri di avallare le reciproche angosce tramite la condivisione. La gruppalità adolescenziale, in modo specifico, tende ad assumere un compito autoreferenziale che riguarda il benessere del gruppo. La condivisione diventa, dunque, la condizione identificativa e definitoria del gruppo, lasciando all’esterno le sembianze del minaccioso. Quindi, in una costante interazione tra il dentro (da salvaguardare) e il fuori (il nemico), l’azione diviene l’espressione della frustrazione interna che deve essere scaricata, allontanata verso qualcosa di altro da sé: la vittima (Ingrascì & Picozzi, 2002). In quanto fenomeno collettivo non può prescindere dal contesto nel quale viene agito, ovvero la scuola (Lagerspetz, Bjorkqvist, Berts, & King, 1982). Dai primi lavori di Olweus (1983), condotti su oltre 130.000 ragazzi norvegesi tra gli 8 e i 16 anni, l’autore trovò come il 15% degli studenti era coinvolto, come attore o target, in episodi di prepotenza a scuola. Successivi studi hanno confermato l’incidenza e la diffusione di questo fenomeno nelle scuole. Nella nostra realtà nazionale, i primi dati raccolti negli anni ’90, su un campione di 1.379 alunni tra gli 8 e i 14 anni indicano come il 42% di alunni nelle scuole primarie e il 28% nelle scuole secondarie di primo grado riferiscano di aver subito prepotenze (Menesini, 2003). Questi studi permettono quindi di evidenziare come la scuola possa diventare possibile luogo di persecuzione e violenza (Petrone & Troiano, 2008) e come i soggetti coinvolti possano sintetizzarsi in tre categorie: persona che commette atti di bullismo, il target, il gruppo.

La persona che commette atti di bullismo, all’interno del gruppo tende spesso a ricercare compagni che possano sostenerlo e che approvino i suoi comportamenti.

Quando infatti egli mette in atto un’aggressione nei confronti di altri soggetti più deboli, riceve attenzione e consenso da parte dei compagni che lo vedono come un coraggioso, un «eroe». Ciò provoca in lui una gratificazione e soddisfazione, che lo porta a ripetere nuovamente le sue azioni. Questo atteggiamento, che può essere anche contagioso e reiterato dagli osservatori, tende, dunque, a promuovere e accettare le forme di bullismo: si parla appunto di «contagio sociale​», in quanto i ragazzi per affermarsi anche loro nel gruppo, seguono l’esempio di coloro che commettono atti di bullismo. 

È di fondamentale importanza, invece, nell’ambito scolastico, l’alleanza educativa tra scuola e famiglia. Infatti, così come l’atteggiamento dei genitori tenuto in casa, ha un’influenza sul comportamento dei figli, anche quello degli insegnanti incide sulla loro condotta a scuola. Gli insegnanti dunque, cercheranno di collaborare con i genitori per attuare una corretta educazione dei ragazzi e dovranno avere comportamenti coerenti, condannando e punendo severamente gli atteggiamenti da bullo che si verificano a scuola. 

Per ambiente sociale si fa riferimento al contesto pubblico in cui un ragazzo vive quotidianamente e nel quale si relaziona. Spesso, quando si fa riferimento a realtà in cui esistono evidenti forme di disagio e fenomeni sottoculturali, lo stile di educazione genitoriale tende a riferirsi ad una maggiore acquisizione da parte dei ragazzi di un «comportamento da duri». In alcune culture, infatti, il bullo viene considerato come un soggetto “eroico” capace di guadagnarsi il rispetto e la stima di tutti, e dunque viene paragonato ad un modello da seguire e ammirare. Per evitare dunque che tali comportamenti protratti nel tempo possano consolidare atteggiamenti aggressivi o scorretti da parte dei ragazzi, è necessario innanzitutto non sottovalutarli ed intervenire con azioni efficaci ed adeguate che tendano ad arginare il loro sviluppo. 

La sensibilizzazione verso la sofferenza degli altri, la valorizzazione dell’empatia unitamente alla conoscenza delle emozioni, sono certamente fattori da sottolineare sia nell’ambito familiare che in quello scolastico.