Lezione 4: Intelligenza emotiva
Oggi i giovani sono soli e depressi, più nervosi, aggressivi ed impulsivi, più impreparati alla vita perché privi degli strumenti emotivi indispensabili per dare avvio a comportamenti quali la autoconsapevolezza, l’autocontrollo, l’empatia (Umberto Galimberti). Occorre insegnare ai bambini a riconoscere e gestire le emozioni, altrimenti resteranno degli analfabeti emozionali.
- 4.1 Introduzione
- 4.2 L'intelligenza emotiva nei bambini
- 4.3 Adulti che educano: Insegnanti e genitori
4.1 Introduzione
Il concetto di intelligenza emotiva fu introdotto da Salovey e Mayer (1990) per descrivere "la capacità che hanno gli individui di monitorare le sensazioni proprie e quelle degli altri, discriminando tra vari tipi di emozione ed usando questa informazione per incanalare pensieri ed azioni". Il termine fu poi reso maggiormente popolare da Goleman mediante la pubblicazione del suo libro Intelligenza emotiva (1995) che descrive l'intelligenza emotiva come un insieme di competenze o caratteristiche che sono fondamentali per affrontare con successo la vita: autocontrollo, entusiasmo, perseveranza e capacità di automotivarsi. In seguito, Mayer e Salovey (1997) estesero la definizione includendo anche la capacità di percepire le emozioni, confrontare emozioni e sensazioni, capire le informazioni che derivano da queste emozioni ed essere in grado di maneggiarle. Baron (1997, 2000) nel suo modello teorico definisce l'intelligenza emotiva come una somma di competenze emozionali e sociali che determinano le modalità mediante le quali una persona si relazione a se stesso e agli altri per fronteggiare le pressione e le richieste ambientali.
Secondo Goleman (1995), Mayer e Salovey (1997) l'intelligenza emotiva comprende cinque ambiti:
- conoscere le proprie emozioni
- maneggiare le proprie emozioni
- motivare se stessi
- riconoscere le emozioni degli altri
- utilizzare le competenze sociali nell'interazione con gli altri
Per quanto riguarda il riconoscere le proprie emozioni, Goleman (1995) fa riferimento allo stato di consapevolezza di sé che rende una persona in grado di riconoscere le emozioni quando queste sorgono. Secondo l'autore questa capacità è una delle basi dell'intelligenza emotiva perché l'abilità di identificare e monitorare le proprie emozioni incrementa il livello di autoconsapevolezza dell'individuo e l'abilità di controllare e monitorare la propria vita. Questa consapevolezza permette all'individuo di compiere scelte consapevoli riguardo agli eventi di maggiore, ma anche minore, importanza della vita.
Secondo Shapiro (1998) la capacità di un bambino di esprimere a parole le proprie emozioni è fondamentale; imparare ad identificare e comunicare le emozioni è una parte importante della comunicazione ed è una determinante basilare per l'acquisizione del controllo emotivo. Il concetto di conoscere se stessi nasce dall'aver consapevolezza di sé; questa si esprime nell'abilità di un individuo di guardare in modo introspettivo ai propri pensieri, sentimenti ed azioni. Sintonizzando in modo positivo il livello di conoscenza delle proprie emozioni quando i propri pensieri consci ed inconsci sono soggetti ad un'esplorazione, la persona acquisisce una competenza emozionale del sé.
Per quanto riguarda il maneggiare le proprie emozioni, Goleman (1995) definisce quest'abilità come significativa per accrescere il livello di consapevolezza di sé; essa è vista come la capacità di tollerare gli eventi positivi e negativi della nostra vita in maniera bilanciata; è una caratteristica fondamentale per la stabilità e per il benessere.
Motivare se stessi può essere visto come la spinta che l'individuo si dà per raggiungere un certo obiettivo. Zirkel (2000) afferma che, nel tentare di capire la motivazione nell'individuo, gli studiosi pongono attenzione ai risultati verso cui un comportamento è diretto più che al comportamento in sé. Secondo Richburg e Fletcher (2002) motivare se stessi è una delle abilità fondamentali per raggiungere un risultato. Per Lane (2000) la motivazione riflette l'abilità di creare una spinta positiva per accrescere la possibilità di raggiungere un obiettivo personale. Goleman associa la motivazione ad un flusso che può essere rappresentato come uno stato di dimenticanza del sè dove le emozioni creano un’esperienza ottimale nel raggiungimento dello scopo (Csikszenmilalyi & Csikszentmihalyi, 1988). Durante questo stato di flusso le emozioni sono positive e sono presenti sensazioni di armonia e gioia. Questo livello di emozione porta al successo perché l'individuo non si focalizza sull'azione, ma piuttosto sul piacere dell'atto.
Riconoscere le emozioni negli altri è una delle abilità sociali più importanti che accresce le capacità empatiche e le competenze sociali.
Secondo Gardner (1983) la capacità fondamentale dell'intelligenza personale include "l'abilità di notare e fare distinzioni tra gli individui in base all'umore, al temperamento e alla motivazione". Egli collega l'intelligenza interpersonale alla capacità del bambino di discriminare e individuare l'umore degli altri individui.
Per quanto riguarda l'utilizzo delle competenze sociali nell'interazione con gli altri, Richburg e Fletcher (2002) affermano che questa capacità riflette il livello di consapevolezza di sé; l'esposizione a situazioni sociali aumenta la probabilità di avere relazioni soddisfacenti.
Goleman (1995) nel suo libro "Intelligenza emotiva" analizza lo studio fatto da Block (1995) su quella che definisce "resilienza dell'ego", un costrutto analogo a quello dell'intelligenza emotiva; nei suoi studi Block ha confrontato due tipi teorici puri: i soggetti con un elevato QI e quelli con grandi doti emozionali ed ha evidenziato che gli individui con alto QI sono abili nel regno della mente ma inetti in quello personale. I profili si differenziano leggermente a seconda che si tratti di uomini o donne.
L'uomo con alto QI ha un'ampia gamma di interessi e di capacità intellettuali, è ambizioso e produttivo, fidato e ostinato e non è turbato da preoccupazioni autoriferite; tende poi ad essere critico e condiscendente, esigente e inibito, a disagio nella sfera della sessualità e delle esperienze sensuali, distaccato e poco espressivo, freddo e indifferente dal punto di vista emozionale. Invece, gli uomini che hanno una grande intelligenza emotiva si dimostrano socialmente equilibrati, espansivi e allegri, non soggetti a paure o al rimuginare di natura ansiosa, hanno poi una grande capacità di dedicarsi ad altre persone o ad una causa, si assumono responsabilità e hanno concezioni e prospettive etiche; nelle relazioni con gli altri si mostrano comprensivi, premurosi e protettivi. La loro vita emotiva è ricca ma appropriata; queste persone si sentono a proprio agio con se stessi, con gli altri e nell'universo sociale nel quale vivono.
Per quanto riguarda invece le donne, Goleman riferisce che, nello studio di Block, quelle con alto QI hanno sicurezza intellettuale, sono fluenti nell'esprimere i propri pensieri, hanno molti interessi intellettuali ed estetici; tendono inoltre ad essere introspettive, soggette all'ansia, ai ripensamenti e ai sensi di colpa e sono reticenti nell'esprimere apertamente la propria collera (anche se lo fanno in maniera indiretta). Le donne emotivamente intelligenti, invece, tendono ad essere sicure di sé, ad esprimere i propri sentimenti in modo diretto e a nutrirne di positivi riguardo a se stesse. Sono estroverse e gregarie, esprimono i propri sentimenti in modo equilibrato e si adattano bene allo stress. Tale equilibrio permette loro di stringere facilmente nuove conoscenze; si sentono abbastanza a proprio agio con se stesse da essere allegre, spontanee e aperte alle nuove esperienze. Diversamente dalle donne di tipo puro con alto QI, raramente si sentono in ansia o colpevoli e raramente sprofondano nel rimuginare.
Hatch e Gardner (1989) identificano quattro abilità distinte come componenti dell'intelligenza interpersonale:
Capacità di organizzare i gruppi: è l'abilità essenziale del leader; comporta la capacità di coordinare gli sforzi di una rete di individui.
Capacità di negoziare soluzioni: è il talento del mediatore, capace di prevenire i conflitti o di risolvere quelli già in atto.
Capacità di stabilire legami personali: è la dote dell'empatia e del saper entrare in connessione con gli altri. Essa facilita l'inizio di un'interazione, il riconoscimento dei sentimenti e delle preoccupazioni negli altri e stimola la risposta adeguata.
Capacità d'analisi della situazione sociale: è la capacità di riconoscere e di comprendere i sentimenti, le motivazioni e le preoccupazioni altrui. Questa conoscenza del modo in cui si sentono gli altri può facilitare l'intimità e i rapporti.
4.2 L'intelligenza emotiva nei bambini
Goleman (1995) afferma che la famiglia è il primo contesto in cui apprendiamo insegnamenti riguardanti la vita emotiva. L'educazione emozionale opera non solo attraverso le parole e le azioni dei genitori indirizzate direttamente al bambino, ma anche attraverso i modelli che essi gli offrono mostrandogli come gestiscono i propri sentimenti e la propria relazione coniugale. Il modo con cui i genitori trattano i bambini ha profonde e durevoli conseguenze per la loro vita emotiva. Avere genitori intelligenti sotto il profilo emotivo è una fonte di grandissimo beneficio per il bambino. I genitori possono talvolta avere comportamenti inadeguati nei confronti del bambino.
Essenzialmente, sono tre i tipi di comportamento non adeguati dei genitori:
Ignorare completamente i sentimenti: tali genitori trattano il turbamento emotivo del bambino come se fosse una cosa banale o una seccatura della quale aspettare la naturale estinzione. Essi non riescono ad approfittare dei momenti carichi di valenze psicologiche per avvicinarsi al bambino o per aiutarlo ad apprendere alcune competenze emozionali;
Assumere un atteggiamento troppo incline al “lasciar fare”: questi genitori notano i sentimenti del bambino, ma ritengono che qualunque strategia egli adotti per gestire la sua tempesta interiore- anche lo scontro fisico- vada bene. Come quelli che ignorano i sentimenti del bambino, anche questi genitori raramente intervengono per cercare di mostrare al proprio figlio una risposta alternativa. Essi cercano di calmare ogni turbamento e pur di ottenere che il bambino smetta di essere triste o in collera, si metteranno a mercanteggiare e ricorreranno alle lusinghe;
Essere sprezzanti, mostrando di non avere rispetto alcuno per i sentimenti del bambino: questi genitori di solito hanno un atteggiamento di disapprovazione e sono duri sia nelle critiche che nelle punizioni.
Uno dei fondamentali insegnamenti emozionali per un bambino è il saper distinguere i diversi sentimenti; questa abilità si sviluppa con l'età ( Elksnin & Elksnin, 2003): i bambini di tre anni possono identificare con precisione la tristezza, la felicità e la paura utilizzando segnali non verbali come le espressioni facciali, i gesti e la voce (Nabuzoka & Smith, 1995).
I bambini che imparano a gestire le proprie emozioni e a controllare i propri istinti tollerano meglio le situazioni stressanti, imparano a comunicare meglio i propri stati emozionali e sono in grado di sviluppare relazioni positive con la famiglia e gli amici; ottengono inoltre più successi a scuola, a lavoro e nella vita (Elias & Weisberg, 2000; Elias, Zins, Weissberg, Frey, Greenberg, Haynes, Kessler, Schwab-Stone & Shriver, 1997; Payton, Wardlaw, Graczyk, Bloody, Trompsett & Weissberg, 2000).
Mischel e Ebbeson (1970) dimostrarono quanto fosse fondamentale la capacità di reprimere le emozioni e di resistere all'impulso. Il compito a cui sottoposero bambini di quattro anni era il seguente: i bambini dovevano aspettare il ritorno dell'esaminatore senza mangiare le caramelle lasciate lì nella stanza; se fossero stati in grado di resistere fino al ritorno dell'esaminatore avrebbero avuto in premio due caramelle; se invece non avessero potuto aspettare avrebbero avuto una caramella subito.
Lo studio, di tipo longitudinale, dimostrò che i bambini che all'età di quattro anni avevano resistito alla tentazione, da adolescenti mostravano una maggiore competenza sociale; erano efficaci a livello personale, sicuri di sé e in grado di fronteggiare le frustrazioni della vita. Essi accettavano le sfide e perseguivano i propri obiettivi senza rinunciare nemmeno di fronte alle difficoltà e rinviando la gratificazione; avevano fiducia in se stessi ed erano a loro volta percepiti dagli altri come degni di fiducia. I soggetti che invece a quattro anni non avevano resistito alla tentazione (erano circa il 30% del gruppo) avevano da adulti un profilo psicologico relativamente più problematico.
Molti scansavano i contatti sociali a causa della timidezza; erano facilmente turbati dalle frustrazioni, testardi e indecisi, si ritenevano privi di valore, erano diffidenti e risentiti perché convinti di "non ottenere abbastanza"; erano soggetti all'invidia e alla gelosia e reagivano all'irritazione in modo tagliente, innescando liti e conflitti. Inoltre, non erano capaci di rinviare le gratificazioni. Chi da piccolo si era dimostrato paziente diventava uno studente di gran lunga migliore rispetto a quelli che non avevano saputo aspettare; si dimostrava molto più competente sul piano scolastico. L'importanza dell'intelligenza emotiva nel successo scolastico è stata confermata anche in tempi più recenti (Downey, Mountstephen, Lloyd, Hansen & Stough, 2008; Lam & Kirby, 2002; Salovey, Bedell, Detweiler & Mayer, 2000).
A tal proposito, in tempi recenti sono stati anche sviluppati programmi per insegnare a scuola le emozioni. Goleman (1995) descrive l'esperienza di una scuola elementare di San Francisco in cui viene insegnata la Scienza del Sé che ha come oggetti di studio i sentimenti, sia i propri che quelli che scaturiscono nel rapporto con gli altri. Questi corsi di alfabetizzazione emozionale hanno come obiettivo alzare il livello di competenza sociale ed emozionale nei ragazzi come parte della loro istruzione regolare. I contenuti dell'insegnamento comprendono l'autoconsapevolezza (cioè la capacità di riconoscere i sentimenti e di costruire un vocabolario per la loro verbalizzazione), cogliere i nessi tra pensieri, sentimenti ed emozioni, sapere se si sta prendendo una decisione in base a riflessioni o a sentimenti, prevedere le conseguenze di scelte alternative, applicare queste conoscenze a decisioni su temi come le droghe, il fumo o il sesso. L'importanza di questi programmi di apprendimento dell'intelligenza emotiva sono stati anche confermati da Vandervoort (2006), Uluta5 & Dmero§lu (2007).
L’intelligenza emotiva a scuola
Imparare ad osservare le emozioni senza farsi assorbire aiuta ad essere più lucidi e consapevoli, lasciarle fluire senza schiacciarle da' forza ed energia, accettare l'alternanza della gioia e del dolore godendo e utilizzando tutte le nostre esperienze, porta energia all'interno, invece di sprecarla inutilmente. In generale, nella nostra società questo aspetto è però completamente ignorato, lasciando gli individui nella più completa barbarie emozionale, con un aumento esponenziale della violenza e della rabbia determinato dalla miscela esplosiva composta dai desideri insoddisfatti e dalla repressione. Viviamo in una società in cui la circolazione delle informazioni e' massimo e il contatto interpersonale e' ridotto al minimo: non solo tra pari, ma soprattutto tra genitori e figli. Questa mancanza rischia di portarci ad un analfabetismo emotivo a dir poco preoccupante: noi impariamo, infatti, le lezioni fondamentali sull'emotività, propria ed altrui, solo dalla relazioni interpersonali. Per questo motivo, è estremamente importante che l'adulto (il caregiver), che accompagna lo sviluppo del bambino e lo educa sia presente quotidianamente e accompagni la sua evoluzione, giorno per giorno. Spesso, questo non si verifica perchè entrambi i genitori lavorano e la famiglia allargata non è più la struttura sociale più diffusa e, sempre meno, i nonni rappresentano un punto di riferimento stabile e quotidiano. Allora, ecco che diventa più che mai importante che nelle Istituzioni Scolastiche si dia spazio allo sviluppo delle competenze emotive fin dalla più tenera età, dal Nido d'Infanzia, fino ad arrivare alle Scuole Superiori, poiché lo sviluppo emotivo comincia appena nati, ma non si completa fino alla maturità, e non tutti gli adulti arrivano ad essere "emotivamente intelligenti".
Ripartiamo da capo: cosa vuole dire essere educato? La visione corrente è quella che essere educato comporti essere bene informato, responsabile, premuroso e, molti aggiungerebbero, non violento (M.J.Elias, J.Zins, R.P.Weissberg & al, 1997). Vuole dire che la tradizionale attenzione sulle abilità intellettuali - QI - deve essere integrata da un forte interesse per le abilità sociali ed emotive: le abilità dell'I.E. — EQ. Proprio per questo ha senso introdurre l'I.E. tra le materie scolastiche e, come ricorda Goleman:
"Poiché a moltissimi giovani il contesto familiare non offre più un punto d'appoggio sicuro nella vita, le scuole restano il solo istituto al quale la comunità può rivolgersi per correggere le carenze di competenza emozionale e sociale dei ragazzi... poiché quasi tutti i bambini vanno a scuola, almeno all'inizio, la scuola è un luogo che permette di raggiungere ognuno di essi e di fornirgli lezioni fondamentali per la vita che, altrimenti, non potrebbe mai ricevere".(Goleman,1996)
Proprio perché la maggior parte dei bambini vanno a scuola, ha senso focalizzare gli sforzi sulla promozione della competenza sociale e la prevenzione di comportamenti problematici proprio a scuola (M.J.Elias et al., 1997). Le scuole sono anche un luogo ideale per la prevenzione perché la ricerca indica che un basso rendimento scolastico è un fattore di rischio notevole per un gran numero di comportamenti problematici come l'abuso di droghe e la delinquenza (R.P.Weissberg & M.T.Greenberg, 1997).
In questo modo gli sforzi di prevenzione nella scuola di base possono proteggere contro lo sviluppo di comportamenti problematici così come possono promuovere la salute mentale. In conclusione, sappiamo che
- l'apprendimento delle abilità emotive comincia a casa
- i bambini entrano a scuola con diversi "punti di partenza emotivi" (J.Mayer e P.Salovey, 1997)
- l’intelligenza emotiva è composta da un set di attività
- la maggior parte delle abilità dell'I.E. possono essere migliorate attraverso l'educazione (J.Mayer e P.Salovey, 1997) pertanto, sarebbe importante che le scuole affrontassero la sfida di insegnare, nonché di aggiustare, le abilità emotive dei loro scolari. Questa sfida può essere sostenuta introducendo l'alfabetizzazione emotivo tra le materie scolastiche, nonché creando un clima scolastico che favorisca lo sviluppo e l'applicazione delle abilità emotive.
L'Alfabetizzazione Emotiva
Lo scopo dell'I.E., dicevamo, è quello d'insegnare a gestire in modo intelligente le proprie emozioni, così che siano di supporto e di guida al proprio comportamento ed al proprio pensiero. In questo senso si parla di alfabetizzazione emotiva. L'alfabetizzazione emotiva e' un processo del tutto simile a quello di alfabetizzazione nel senso classico del termine che ha portato, all'inizio del Secolo scorso, la maggioranza degli Italiani a napea leggere e scrivere. Come dicono Dan Kindlon e Michael Thompson (2000) nel loro "Intelligenza Emotiva per bambino che sarà uomo":
"Insegnare l'alfabeto delle emozioni per aiutare i ragazzi a diventare giovani uomini equilibrati e sereni... la capacità di leggere e comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri. Questo processo e' molto simile a quello nel corso del quale si impara a leggere... Analogamente, l'alfabetizzazione emotiva comporta il riconoscimento dell'aspetto e delle sensazioni associati alle nostre emozioni, e in un secondo tempo l'uso di tali abilità per comprendere meglio noi stessi e gli altri. Impariamo così ad apprezzare la complessità della vita emotiva e questo migliora le nostre relazioni personali e professionali, aiutandoci a rafforzare i legami che arricchiscono la nostra vita." (Kindlon e Thompson, 2000)
La vita emotiva è un'area che, come sicuramente accade nel campo della matematica o della lettura può essere gestita con maggiore o minore abilità e richiede un insieme di competenze esclusive.
Ecco come Goleman enfatizza l'importanza dell'educazione emotiva:
"Il rimedio è nel modo in cui prepariamo i bambini alla vita: non dobbiamo lasciare l'educazione emozionale al caso, ma adottare corsi innovativi a scuola, che insegnino l'autocontrollo, l'autoconsapevolezza, l'empatia, l'ascolto e la cooperazione. E' necessaria quindi una vera e propria "alfabetizzazione emozionale" che poni i bambini a vivere con intelligenza le proprie emozioni " (Goleman, 1996).
L'I.E., a differenza del QI, può essere potenziata per tutta la vita: tende ad aumentare in proporzione alla consapevolezza degli stati d'animo, alla capacità di gestione delle emozioni che provocano sofferenza, al maggiore affinamento dell'ascolto e dell'empatia. La maturità stessa riguarda il processo attraverso il quale si diventa più intelligenti circa le nostre emozioni e le nostre relazioni. L'osservazione ha dimostrato che i risultati migliori in tutti i settori sono ottenuti da chi riesce ad usare consapevolmente lo strumento di precisione più efficace che la natura ci ha dato: le emozioni. Ma, per potenziare o acquisire questa abilità è necessario l'esercizio: ecco allora perché si parla di Allenamento Emotivo.
L'Allenamento Emotivo
John Gottman (1997) nel suo manuale per genitori dal titolo "Intelligenza Emotiva per un figlio" definisce l'Allenamento Emotivo come la base per una buona educazione dei propri figli e che lo suddivide in cinque fasi-chiave :
1. essere consapevoli delle Emozioni del Bambino;
2. riconoscere nell'Emozione una opportunità di intimità e di insegnamento;
3. ascoltare con Empatia e convalidare i sentimenti del Bambino;
4. aiutare il Bambino a trovare le parole per definire le Emozioni che prova;
5. porre dei limiti, mentre si aiuta il Bambino a risolvere il problema.
Questi cinque passi sono effettivamente molto efficaci, anche quando si va a formare gli insegnanti che saranno a contatto con i bambini nel loro percorso di crescita perché per essere degli Allenatori Emotivi e' molto importante applicare questi cinque passi prima di tutto a se stessi e alle proprie emozioni. John Gottman, nelle righe riportate poco sotto, ci illustra diverse buone ragioni per prendere sul serio l'ipotesi di una alfabetizzazione emotiva non solo a casa, ma soprattutto nelle scuole.
"...I nostri studi dimostrano che i figli emotivamente allenati ottengono migliori risultati a scuola, stanno meglio in salute e stabiliscono relazioni più positive con i coetanei. Hanno anche minori problemi di comportamento, e riescono a recuperare più rapidamente dopo esperienze negative. L'intelligenza emotiva che hanno acquisito permette loro di essere più preparati ad affrontare i rischi e le sfide che li attendono nella vita."
Io aggiungerei che l'Allenamento Emotivo e' lo strumento che può far sperimentare ai bambini e ai ragazzi l'uso delle proprie emozioni come strumenti di benessere, sicurezza e gioia, accantonando definitivamente l'idea che l'emozione sia uno spauracchio da cui fuggire, nascondersi o di cui vergognarsi.
L'Analfabetismo Emotivo
Avere un basso EQ, una scarsa competenza emotiva può portare notevoli disagi sociali, relazionali, personali, per la propria vita e per quella della collettività:
- mancanza di consapevolezza e quindi di controllo e di gestione delle proprie emozioni e dei comportamenti ad esse connessi.
- mancanza di consapevolezza delle ragioni per le quali ci si sente in un certo modo
- incapacità a relazionarsi con le emozioni altrui non riconosciute e non rispettate — e con i comportamenti che da esse scaturiscono.
Per questo l'analfabetismo emotivo può espone ragazzi ed adolescenti ad una pericolosa serie di rischi, dai più gravi quali: depressioni, violenza, disturbi alimentari, droga, ai problemi di apprendimento e, nei casi meno gravi, i problemi unicamente emozionali, quali: nervosismo, impulsività e aggressività, solitudine. Spesso e proprio la prevenzione a questi rischi che sollecita lo svolgimento di percorsi di Alfabetizzazione Emotiva o addirittura l'introduzione dell'I.E. tra le materie curricolari.
Allora vediamo quali sono gli effetti di questi interventi.
Gli effetti positivi dell'Alfabetizzazione Emotiva
Negli Stati Uniti si è verificato che i ragazzi che hanno seguito i corsi di Alfabetizzazione Emotiva ne hanno tratto un esteso beneficio per la loro condotta dentro e fuori la classe e per la loro capacità di apprendimento. Si e' verificato un miglioramento in tutti le aree classiche dell'I.E. (Goleman, 1996, pg.327-328)
Nell'Autoconsapevolezza Emotiva si é verificato un miglioramento:
• delle capacità di riconoscere e denominare le proprie emozioni
• di comprendere le cause dei sentimenti
• di riconoscere la differenza tra sentimenti e azioni
Nel Controllo delle Emozioni si e' verificato un miglioramento:
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della sopportazione della frustrazione e controllo della collera
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della capacità di esprimere adeguatamente la collera, senza combattere
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della capacità di affrontare lo stress
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della condotta che e' diventata meno aggressiva o autodistruttiva inoltre, si sono rilevati:
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una minor frequenza di umiliazioni verbali, scontri e disturbi in classe
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una minor solitudine e ansia nei rapporti sociali
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un minor numero di sospensioni ed espulsioni
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sentimenti più positivi sul proprio io, sulla scuola e sulla famiglia
Nell'Indirizzare le Emozioni in senso produttivo si sono rilevati:
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un maggior senso di responsabilità
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una maggior capacità di concentrarsi sul compito che si ha di fronte e di fare attenzione
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una minore impulsività, maggiore autocontrollo
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migliori risultati nelle prove scolastiche
Nell'Empatia e nel Leggere le Emozioni si e verificato un miglioramento delle capacità di:
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assumere il punto di vista altrui
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ascoltare gli altri
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analizzare e comprendere i rapporti
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risolvere i conflitti e negoziare i contrasti
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risolvere i problemi nei rapporti e si è rilevata una maggiore:
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sensibilità verso i sentimenti altrui
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sicurezza di sé e capacità di comunicare
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simpatia e socievolezza; comportamento più amichevole con i coetanei e maggior legame reciproco
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interesse da parte dei coetanei
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interesse e premura verso gli altri
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spirito di condivisione, di collaborazione e di disponibilità a rendersi utili agli altri
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democrazia nel trattare con gli altri
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disposizione alla collaborazione in gruppo nonché un minor individualismo.
4.3 Adulti che educano: Insegnanti e genitori
La pratica quotidiana dimostra che l'insegnante ha un modo primordiale nel gestire e nell'insegnare a gestire le emozioni dei ragazzi. E' dunque di primordiale importanza seguire dalla prima infanzia, poi durante tutto il corso della scolarità, lo sviluppo del ragazzo ed aiutarlo ad affrontare le difficoltà, a guidarlo nella gestione delle sue emozioni, per arrivare ad un equilibrio tra la mente razionale e la mente emotiva. (J.Castex, 2000)
E' importante ribadire quanto siano importanti gli adulti che circondano il bambino nell'intero processo di sviluppo sia emotivo che cognitivo. E' indispensabile che ogni adulto educatore ricordi costantemente di essere prima di tutto un modello per i bambini che ha intorno, e proprio per questo il modello educativo del tipo: "Fate quello che dico, ma non fate quello che faccio" è a dir poco improbabile! I bambini fanno solo ed esclusivamente quello che vedono fare ripetutamente dai propri caregiver; per questo imparano ad esprimere e a comprendere le emozioni dagli adulti che li circondano. Gli adulti che rivestono un ruolo importante nella vita dei bimbi, soprattutto piccolissimi, se vogliono aiutarli, dovranno vivere a pieno le propri emozioni, esserne consapevoli e gestire la propria espressività e le proprie azioni in base alle emozioni dei bambini.(Denham, 2001). Ecco, più in dettaglio, quanto è stato acquisito finora dalla ricerca su i tre aspetti fondamentali dell'interazione tra adulti e bambini, cioè:
1. espressività degli adulti
2. addestramento alle emozioni
3. reazioni degli adulti alle emozioni dei bambini.
1. Espressività degli adulti
I bambini che hanno rapporti con adulti più positivi dal punto di vista emotivo tendono a essere più positivi essi stessi nei confronti dei coetanei; invece, l'atteggiamento manifestato nella scuola materna dai figli di genitori più negativi sembra associato ad una minore competenza sociale. Gli adulti che riferiscono di sapersi mantenere emotivamente positivi nelle circostanze problematiche allevano bambini più abili nella comprensione delle emozioni.
2. Addestramento alle Emozioni esercitato dagli adulti
Gli adulti più capaci di effettuare ai bambini un addestramento alle emozioni, li aiutano a comprendere meglio le emozioni stesse e a dimostrarsi più competenti socialmente nell'ambito della scuola materna.I bambini anche se così piccoli, possono 'fiutare' la differenza tra essere tiranneggiati o essere redarguiti mediante il linguaggio emotivo, per cui non tutti i discorsi emotivi hanno lo stesso valore!
3. Reazioni degli adulti alle emozioni dei bambini
Le reazioni degli adulti alle esibizioni emotive dei bambini sono importanti, poiché i bambini le generalizzano alla propria espressività e le usano per costruire la propria conoscenza delle emozioni. Per esempio, scoraggiare nei bambini le emozioni dicendo loro: “Smettila di piangere!”, è un potente deterrente contro l'autoriflessione sulle emozioni e rappresenta quindi un ostacolo alla conoscenza delle emozioni. Prestare attenzione e fornire un rinforzo positivo alle emozioni dei bambini, accettandole, prendendone atto e reagendo in modo tale da soddisfare le loro esigenze pratiche può spianare la strada a un migliore apprendimento delle emozioni, che si riflette poi nella competenza sociale.
Possiamo concludere che: per garantire un allenamento emotivo valido e' necessario che le insegnanti abbiano a loro volta una buona competenza emotiva. Nessuno e' in grado di insegnare ciò che non conosce! Le ricerche hanno confermato che quando gli adulti lavorano con le proprie emozioni, sono in grado di accompagnare e velocizzare il processo di Sviluppo dell'I.E. dei bambini di cui si prendono cura. Il profilo ottimale dei programmi di alfabetizzazione emozionale è di iniziare presto, di essere adeguati all'età, di essere svolti in ogni anno scolastico e di coordinare gli sforzi a scuola, a casa e nella comunità (M.J.Elias, L.Hunter e J.S.Kress, 1997). "Che ci sia o meno un corso esplicitamente dedicato all'alfabetizzazione emotiva può essere molto meno importante del modo in cui queste lezioni vengono insegnate. Non c'è forse materia come questa nella quale la qualità degli insegnanti conti così tanto; il modo in cui un insegnante gestisce la classe è infatti in se stesso un modello, una lezione di fatto, di competenza emozionale o della sua mancanza. Ogni atteggiamento di un insegnante nei confronti di un allievo è una lezione rivolta ad altri venti o trenta studenti". Non tutti gli insegnanti, per il loro carattere, sono portati a insegnare le emozioni, poiché e' necessario "sentirsi a proprio agio nel parlare dei propri sentimenti e non tutti lo sono ne vogliono esserlo... Poco o nulla nella formazione consueta degli insegnanti li prepara a questo genere di insegnamento" (Goleman, 1996, pg. 322-323). Per queste ragioni, i programmi di alfabetizzazione emozionale in genere prevedono per i futuri docenti un addestramento speciale ed impegnativo in cui prima di tutto ci si mette in gioco in prima persona e, prima di ogni altra cosa, si entra a contatto con le proprie emozioni.
Programmi per la scuola di base
Un principio primario di I.E. è che le relazioni premurose costituiscono il fondamento di un apprendimento del tutto genuino e durevole (National Center for Innovation and Education, 1999). Un momento di riflessioni sulle proprie esperienze educative rivelerà la verità fondamentale di questo punto di vista. Noi tutti abbiamo imparato in condizioni avverse, ma non è il miglior modo di produrre un regolare e durevole apprendimento: per questo c'è bisogno di portare i sistemi educativi in linea con questa realtà.
Nonostante l'I.E. abbia ricevuto recentemente molta attenzione, il concetto non è nuovo. A proposito di educazione, vorrei ricordare che John Dewey che, nel 1938, studiando la natura delle aule scolastiche ed arrivando alla conclusione che dovevano essere luoghi dove gli studenti potessero imparare la democrazia, mise in evidenza come le abilità emotive sono necessarie per preservare la democrazia stessa, come lo stato riflessivo della mente sia necessaria per accrescerla ed un buon clima sociale ed emotivo siano necessari per trasmetterla. Nei primi anni '90, gli Educatori alla Responsabilità Sociale portarono il lavoro di Dewey e gli altri ad un livello successivo che richiedeva alle scuole di rendere tutti i bambini socialmente impegnati e responsabili (S.Barman, 1990).
Fu identificato un insieme di abilità che permetteva ai bambini di muoversi nel mondo come studenti e come cittadini, comprese:
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la capacità di partecipare al gruppo
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la capacità di prendere decisioni
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la consapevolezza sociale.
Questo lavoro cominciò ad integrare conoscenze teoriche ed empiriche che portarono nuove idee nella corrente educativa principale. Nonostante questo quadro storico, e' stata la recente ricerca di Mayer e Salovey combinato con l'enorme diffusione del testo di Goleman, che ha reso l'I.E. e le sue applicazioni argomenti all'ordine del giorno delle istituzioni pubbliche, professionali e scientifiche. Nel 1994 fu fondato da Daniele Goleman ed Eileen Rockefeller Growald il "Collaborative to Advance Social and Emotional Learning" (CASEL) per far riconoscere l'Apprendimento Sociale ed Emotivo (SEL) come una parte essenziale dell'istruzione dalla fase prescolare al liceo. CASEL ha portato a termine il suo lavoro promuovendo la scienza del SEL aiutando a preparare ed allenare gli educatori e creando reti di scienziati, educatori, politici e cittadini interessati. CASEL non si limita alla promozione di SEL nelle scuole statunitensi, ma e' anche un centro internazionale con collaborazioni nelle scuole della Danimarca, Svezia, Israele e Gran Bretagna. Negli ultimi dieci anni c'è stato un aumento di interesse verso i programmi per la scuola di base concentrati sulle abilità dell'I.E. (Salovey & Sluyter, 1997).
Ad esempio, in una guida per lo sviluppo di allenamenti emotivi per studenti della Scuola Elementare, Schilling (1996) raccomanda lezioni su:
- l' autoconsapevolezza
- i sentimenti direttivi
- la presa di decisione
- la gestione dello stress
- la responsabilità personale
- la concezione di se'
- l'empatia
- la comunicazione
- le dinamiche di gruppo
- la risoluzione del conflitto
Molti interventi sull'I.E. per bambini in età scolare si svolgono all'interno di altri programmi di prevenzione più specifici. Un buon esempio è il Resolving Conflict Creatively Program (RCCP) che cominciò una decina d'anni fa nelle scuole pubbliche di New York (Lantieri & Patti, 1996). Gli obiettivi del programma comprendono: sviluppo della consapevolezza delle diverse scelte disponibile per il bambino che deve trattare un conflitto lo sviluppo delle abilità per fare queste scelte l'incoraggiamento del bambino al rispetto per il proprio background culturale e per quello degli altri l'insegnamento di come identificare e resistere contro il pregiudizio lo sviluppo della consapevolezza dei bambini del loro molo nel creare un mondo in pace.
Per sintetizzare, possiamo dividere i programmi per la scuola di base per bambini delle Elementari e per Adolescenti, in sei tipi principali (M.J.Elias, L.Hunter e J.S.Kress,1997):
a) Strategie organizzative School-level: puntano ad aiutare le relazioni collaborative e produttive fra i tutori della comunità scolastica (amministratori, insegnanti, genitori, e studenti). Queste relazioni possono aiutare la scuola a coordinare i suoi sforzi di prevenzione e a creare un clima che contribuisca alla promozione della salute mentale.
b) Programmi di prevenzione concentrati sul clima e la struttura della classe che cercano di migliorare i risultati scolastici degli studenti e i loro comportamenti sociali; tentano di realizzare questo obiettivo aumentando le opportunità della classe di partecipare attivamente all'apprendimento e promuovendo lo sviluppo di relazioni di supporto con gli adulti e i pari.
Tutti questi programmi condividono un focus comune sullo sviluppo e sul miglioramento dell'autocontrollo dei bambini, della gestione dello stress, del problem-solving e delle capacità decisionali, così come della costruzione della loro consapevolezza affettiva e delle capacità riflessive.
c) Programmi mirati alla prevenzione che hanno come bersaglio un più specifico focus rispetto ai programmi discussi finora e puntano a prevenire comportamenti problematici come: l'abuso di sostanze, i comportamenti sessuali ad alto rischio o la violenza.
d) Programmi che comprendono l'educazione alla salute e che sono destinati a promuovere la salute mentale e fisica degli studenti e a prevenire quei comportamenti che compromettono la salute (per es., comportamenti sessuale ad alto rischio, fumo e uso di sostanze) (S.H.Kender, C.L.Perry & K.Klep, 1993).
e) Strategie di prevenzione Multicomponenti che hanno svariati campi d'azione e sono generalmente utilizzate a livello di distretto scolastico o di comunità oppure su entrambi.
I diversi programmi di prevenzione per la scuola di base, descritti da Weissberg e Greenberg (1997) e CASEL condividono un'attenzione comune al miglioramento della vita dei bambini e alla prevenzione di comportamenti problematici. I programmi, in ogni caso, differiscono nell'estensione del coinvolgimento dell'intera comunità scolastica in questi sforzi. In generale, sembra che i programmi più estesi abbiano più probabilità di avere un impatto durevole sulle conseguenze sociali, emotive e sull'apprendimento dei bambini.