3.4 Le tecniche per intervenire
Per quanto riguarda la prevenzione del bullismo e del cyberbullismo, occorre riflettere sul fatto che non è strettamente necessario proporre attività cosiddette “speciali” (percorsi cioè che si possono realizzare una tantum e limitatamente nel tempo); vi sono infatti attività curriculari e strategie didattiche abitualmente adottate dagli insegnanti che permettono di raggiungere obiettivi non solo cognitivi ma anche educativi, in quanto, per le loro modalità di realizzazione, favoriscono nei ragazzi la maturazione di stili relazionali positivi e di abilità prosociali. Da ciò ne consegue che tali attività diventano lo strumento di prevenzione privilegiato poiché: • coinvolgono contemporaneamente l’intera classe (o bambini di classi diverse); • possono essere proposte con una certa continuità durante l’anno scolastico. Queste attività sono state pensate per coinvolgere nell’intervento di prevenzione l’intera classe con un riguardo particolare per i target e con l’intento di sensibilizzare i soggetti potenzialmente positivi ma spesso indifferenti e apatici verso le sorti dei compagni più deboli, alunni cioè non direttamente implicati in episodi di bullismo nel ruolo di target o prevaricatore, ma che agiscono in parallelo al bullo come sostenitori passivi o osservatori indifferenti. Accanto ai due principali “attori” del bullismo, infatti, vi sono individui non direttamente coinvolti ma che con il loro atteggiamento di indifferenza favoriscono il perpetrarsi del fenomeno: sono i cosiddetti esterni ovvero quella “maggioranza silenziosa” che, pur non approvando le prepotenze, di fatto le tollera e non interviene a difesa della vittima per paura di ritorsioni o per conservare la sua tranquillità. L’obiettivo è quello di proporre attività che valorizzino i coetanei come “agenti di cambiamento” facendo leva sulle risorse positive della classe e sulla naturale capacità dei ragazzi di provare empatia per i compagni in difficoltà.
- 3.4.1 Il Role Playing
- 3.4.2 Lavoro Cooperativo
- 3.4.3 Il Problem Solving
- 3.4.4 Il Mentoring
- 3.4.5 L'operatore amico
- 3.4.6 La mediazione
- 3.4.7 Le life skills
- 3.4.8 Sociogramma
3.4.1 Il Role Playing
Role Playing significa, letteralmente, gioco dei ruoli. Si tratta di una rappresentazione drammatica di situazione conflittuali e rilevanti per la persona. La caratteristica del role playing è l’assunzione di un certo ruolo, in relazione al quale il soggetto agisce sulla scena drammatica con molta libertà di comportamento e di decisione. Tale tecnica consente agli individui di mettersi in prova in altri ruoli, di far emergere i propri vissuti e la tensione emotiva ad essi ancorata.
Ecco un’attività di Role Playing da proporre in classe:
Obiettivi: promuovere la consapevolezza del problema, sviluppare l’empatia e comprendere le emozioni della vittima, riflettere sulle responsabilità degli osservatori.
Realizzazione: l’insegnante invita gli alunni a scrivere un breve testo in cui raccontano un episodio di prepotenza che hanno subito o al quale hanno assistito come osservatori.
I testi vengono letti ai compagni e se ne sceglie uno da interpretare con un role playing.
Si individuano tra i ragazzi gli “attori” per i ruoli di soggetto che commette atti di bullismo, target, e spettatori; il racconto viene interpretato rispettando fedelmente quanto è scritto.
Si chiede agli attori che cosa hanno provato mentre “fingevano” di essere il target o gli spettatori:
• come mi sono sentito?
• come mi sentirei se mi succedesse davvero?
Successivamente gli alunni possono suddividersi in gruppetti di 4-5 e provare a delineare una possibile soluzione che consenta alla vittima di trovare aiuto.
A turno ogni gruppo propone la soluzione individuata che viene immediatamente rappresentata dagli “attori” per verificare cosa potrebbe succedere nei vari casi; il gruppo riflette sull’efficacia o meno delle soluzioni proposte.
La discussione può essere guidata con le seguenti domande:
• Che cosa si prova quando si subiscono prepotenze?
• Quali possono essere le conseguenze per un ragazzo vittima di prepotenze?
• Qual è la soluzione più efficace? Perché?
• Cosa dovrebbe fare un bambino se subisce prepotenze?
Approfondimento:
riflettere sul ruolo degli osservatori:
• cosa provi quando vedi un compagno che subisce una prepotenza?
• come ti comporti? Perché?
• il tuo comportamento può migliorare o peggiorare la situazione della vittima?
• cosa potresti fare per aiutare la vittima?
Variante: riproporre la medesima attività assegnando ad ogni alunno un ruolo diverso da quello precedentemente interpretato, in modo che ciascuno, di volta in volta, abbia la possibilità di sperimentarsi nei panni di target, di aggressore e di spettatore.
3.4.2 Lavoro Cooperativo
IL LAVORO COOPERATIVO: la cooperazione soddisfa il bisogno di sicurezza dell’individuo e in modo particolare crea situazioni di confronto e di discussione finalizzate alla soluzione creativa di problemi, al miglioramento del clima di classe e a un apprendimento efficace e produttivo.
Attività: apprendimento cooperativo Obiettivi: imparare a lavorare insieme, migliorare le relazioni tra pari, migliorare il rendimento scolastico.
Realizzazione: i ragazzi suddivisi in gruppi di 4 leggono e imparano insieme un argomento di studio (storia, geografi a, scienze, ecc.). Nel piccolo gruppo si legge il testo, ogni alunno individua le parole o i concetti che non conosce e cerca di comprenderli con l’aiuto dei compagni. A turno ciascuno prova a ripetere agli altri quello che ha capito.
Variante: i ragazzi, vengono suddivisi in gruppi da 4/5 alunni; ciascun gruppo approfondisce un aspetto diverso di uno stesso argomento (es. Regione Lazio: un gruppo approfondisce l’aspetto fisico del territorio, uno l’economia della regione, uno usi e costumi, ecc.). Ogni componente, con l’aiuto dei compagni, deve leggere ed imparare l’argomento che gli è stato assegnato. Alla fine di questa prima fase di lavoro, vengono costituiti dei gruppi misti, in cui è presente almeno un “esperto per ogni aspetto approfondito (ogni gruppo, pertanto, sarà composto da un alunno che ha studiato l’aspetto fisico, da un altro che si è occupato dell’economia, da un altro ancora che ha approfondito gli usi e costumi, ecc.). Ciascuno diventa quindi responsabile non solo del proprio apprendimento, ma anche di quello degli altri, dato che, nel nuovo gruppo, dovrà spiegare ciò che ha precedentemente imparato.
Consigli per la realizzazione: • definire con precisione i tempi di lavoro • organizzare lo spazio per evitare che vi siano interferenze tra i vari gruppi • non fare gruppi troppo numerosi per evitare la confusione e la scarsa produttività durante il lavoro • se nella classe ci sono più bulli evitare di inserirli nello stesso gruppo di lavoro ma dividerli. Affiancare il bullo a compagni che non sono soggetti alla sua influenza negativa e hanno un buon livello di autostima e di assertività • se nella classe c’è un bambino che spesso subisce prepotenze, evitare di farlo lavorare nello stesso gruppo del bullo, ma affiancarlo a compagni più tranquilli, con cui si trova bene, che possano aiutarlo ad acquisire sicurezza e autostima • suddividere i compiti all’interno di ogni gruppo in modo da facilitare l’equa partecipazione di tutti. |
3.4.3 Il Problem Solving
Il PROBLEM SOLVING: è una tecnica metacognitiva che permette all’alunno di prendere consapevolezza del problema e di controllarne le modalità
È suddiviso nelle seguenti fasi:
1. Identificazione e analisi del problema:
Agli studenti viene chiesto di esporre quelli che a loro parere sono i problemi che vivono all’interno della loro classe.
Metodologia:
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Viene richiesto di scrivere su biglietti anonimi o attraverso lo svolgimento di un tema i problemi vissuti all’interno della classe.
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I problemi possono emergere spontaneamente durante la discussione
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Tra i vari problemi proposti viene effettuata una graduatoria per individuare quello che si desidera affrontare per primo (votazione per preferenza)
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Esempi: prese in giro, offese, minacce, picchiare, dispetti, relazione con i docenti, disturbo della lezione, danno o furto di materiale personale, esclusione dai giochi, giochi aggressivi, rivelare segreti personali.
2. Definizione del problema:
Metodologia:
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Un modo per chiarire il problema è quello di scomporlo nei suoi elementi costitutivi, descrivendolo in termini concreti e verificabili
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A tale scopo può risultare utile individuare una situazione esemplificativa tratta dall’esperienza individuale, cercando di definirla nel modo più specifico e concreto possibile (Qual è la situazione in cui il problema si manifesta? Dove? Quando? Con chi?)
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Esempi: “disturbo durante la lezione” ---> chiacchiericcio generale della classe; alcuni compagni si alzano dal banco e infastidiscono
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Esempi: “mancanza di rispetto tra i compagni” ---> picchiare, danneggiare il materiale, prendere in giro
3. Individuazione di possibili soluzioni
Metodologia:
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Evitare di valutare in modo negativo le idee presentate (clima di partecipazione non giudicante)
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Avere l’accortezza di definire il problema e gli obiettivi che si vogliono raggiungere all’inizio dell’attività e ogni volta ciò si renda necessario
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Fornire a tutti i partecipanti la possibilità di intervenire
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Offrire stimoli e suggerimenti quando si presentano delle interruzioni
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Problema: Studenti delle altre classi che durante la ricreazione nascondono il materiale e scrivono parolacce sui libri.
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Soluzioni:
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Perizia grafologica;
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Telecamere;
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Nascondere un compagno in classe;
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Fare turni di guardia;
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Installare un sistema di allarme;
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Mettere delle trappole;
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Registratore audio nascosto;
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Chiudere a chiave la porta;
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Mettere di guardia la direttrice;
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Mettere del filo spinato;
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Mettere dei raggi infrarossi;
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Nascondere gli oggetti.
4. Scelta della soluzione migliore
Metodologia:
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Elencare per ogni soluzione tutte le conseguenze possibili;
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Soppesare per ogni soluzione vantaggi e svantaggi
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Esempio:
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Problema: chiacchierare durante la lezione
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Soluzione: sospendere chi chiacchiera
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Vantaggio: Riuscire a seguire la lezione
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Svantaggio: bisognerebbe applicarla troppe volte, si perdono le lezioni e si rimane indietro, bisogna fare troppi compiti a casa, si viene sgridati dai genitori.
5. Piano d’azione:
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A seconda del tipo di soluzione individuata, l’attuazione può essere preparata:
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Utilizzando il role play
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Facendo cartelloni che ricordano le regole di comportamento individuate
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Coinvolgendo l’insegnante
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Nominando un responsabile
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Esempio:
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Problema: ricevere offese
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Soluzione: far finta di niente (tra rispondere a tono, parlare per capire il perchè, alzare le mani, dirlo ai professori)
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Come si fa a far finta di niente?
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Esprimo disprezzo guardando negli occhi chi mi offende e poi mi giro
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Mi giro dall’altra parte come se non avessi sentito
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Faccio un sorrisino ironico e mi allontano
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Guardo con indifferenza chi mi offende e continuo a fare quello che facevo prima
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Role play
6. Valutazione:
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Giro di opinioni
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Raccolta di auto osservazioni
Gli obiettivi:
• imparare a risolvere i problemi in gruppo
• incrementare i comportamenti prosociali
• migliorare il clima di classe e le relazioni tra pari
• rendere i ragazzi stessi “agenti di cambiamento”, facendo leva sulle loro naturali abilità di dare aiuto ai coetanei
• migliorare l’apprendimento e il rendimento scolastico
3.4.4 Il Mentoring
Molti di noi hanno sperimentato nella propria giovane età un incontro speciale, con una figura adulta non parente come un educatore, un insegnante, un amico, un vicino o un allenatore, che ha rappresentato un punto di riferimento, un modello di comportamento e uno stimolo forte per la crescita personale. Parliamo in questo caso di "natural mentoring". E' partendo da queste relazioni spontanee, che in modo volontario mettono in rapporto le generazioni portando alla maturazione attraverso le risorse presenti nella comunità, che si sviluppa il Mentoring.
Il Mentoring è quindi un tipo di relazione formale, che non nasce casualmente ma si sviluppa con uno scopo di crescita e miglioramento personale. Strumento principale è la relazione "mentore-mentee".
La scoperta dell'efficacia di queste relazioni, e gli effetti benefici riscontrati hanno portato, a partire dagli anni '80, ad impostare programmi di Mentoring strutturati con l'obiettivo principale di ridurre l'abbandono scolastico. I risultati interessanti delle prime esperienze e i bassi costi dell'intervento, che si strutturava solitamente per mezzo di volontari, hanno permesso una sua rapida espansione.
Il termine mentoring trae origine dalle saghe epiche greche: Mentore era infatti l'amico leale di Ulisse a cui lo stesso eroe affida il figlio in sua assenza. Oggigiorno nell'ambito dei programmi di prevenzione, il termine mentoring sta ad indicare:
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un tipo particolare di relazione uno a uno, nella quale una persona con specifiche abilità e competenze (il mentor) mette un giovane (il mentee) nelle condizioni di sviluppare le proprie.
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una relazione personale stretta (la close relationship) in un processo di lavoro comune per raggiungere obiettivi concordati.
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una relazione reciproca, un'alleanza dalla quale sia mentor che mentee traggono beneficio.
Il Mentoring rivolgendosi a bambini e preadolescenti che presentano delle difficoltà, cerca di evitare che queste si stabilizzino nel tempo e diventino base di problemi e disagio in adolescenza ed in età adulta.
La scuola è il contesto dove vengono realizzati la maggior parte dei programmi di mentoring in Italia e all'estero. Nelle scuole il mentoring offre una risposta concreta e diventa modello di azione creativa, rispetto alle tradizionali modalità di intervento.
Per la Psicologia di Comunità, il Mentoring è inteso come programma di prevenzione indicata, cioè si rivolge a giovani che pur non avendo problematiche conclamate, hanno mostrato qualche "segnale" di rischio (es. comportamentale, di abbandono scolastico, di isolamento, etc.) colto ed interpretato dai genitori o dagli insegnanti.
A livello individuale si cerca di lavorare sulle competenze, abilità e risorse dell'individuo, per renderlo più capace di affrontare in modo adeguato le relazioni nei diversi contesti di vita e di risolvere in modo più efficace i problemi.
3.4.5 L'operatore amico
Il modello dell’operatore amico prevede l’attivazione nella classe di un piccolo gruppo di compagni coinvolti attivamente nel dare supporto e sostegno agli altri, con compiti che spaziano da attività pratiche di tipo organizzativo ad interventi quali il sostegno emotivo, l’ascolto attivo e la consulenza.
Nello specifico i compiti di tale figura sono:
1. organizzare giochi o altre attività per i compagni più soli durante le pause dell’attività didattica
2. aiutare i compagni con maggiori difficoltà di rendimento a studiare o a fare i compiti
3. essere disponibili ad aiutare e ad ascoltare coloro che hanno un problema
4. stare vicino ai compagni rifiutati, isolati o attaccati da altri
5. essere vicini emotivamente ai compagni che vivono un momento particolare o difficile della loro vita.
Fasi per la realizzazione dell’intervento
Intervento preliminare nella classe
Questa prima fase serve a preparare il terreno per il progetto sia all’interno della classe nei confronti delle altre classi, degli insegnanti e dei genitori. Occorre attivare in classe percorsi di approfondimento a partire da stimoli culturali o di attualità.
Può essere utile pubblicizzare l’esperienza con la scelta di un logo e di uno slogan per il progetto, in modo da favorire la visibilità nei confronti della scuola.
Attività preparatorie per la selezione degli operatori
La seconda fase prevede la selezione dei ragazzi che andranno a svolgere il compito di op.am. I ragazzi sono invitati a designare coloro che presentano caratteristiche di disponibilità, altruismo, fiducia, ascolto e capacità di mediazione. Per orientare i ragazzi nella scelta sono previste delle attività preliminari: Circolo d’aiuto, Condividere, Stabilire una relazione d’aiuto. La scelta definitiva degli operatori sarà fatta in modo bilanciato tra i risultati delle indicazione della classe, le autocandidature dei ragazzi stessi, la valutazione degli insegnanti.
Il training comunicativo-relazionale per gli operatori
I ragazzi selezionati (in genere in un numero di 3-4) partecipano ad un training condotto dal supervisore per almeno 5-8 ore, possibilmente concentrate in una o al massimo due giornate e al di fuori dell’edificio scolastico.
Gli obiettivi che il training si propone di raggiungere sono:
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Sviluppare le capacità di ascolto
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Assumere una posizione corretta per comunicare disponibilità e attenzione
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Favorire la comunicazione in chi chiede aiuto, utilizzando domande aperte
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Comprendere le emozioni e i segnali non verbali dell’altro
-
Utilizzare un approccio del tipo problem-solving per aiutare il compagno in difficoltà.
L’intervento nella classe
L’inizio dell’attività degli operatori è un momento molto delicato: è quindi importante un momento in cui gli operatori stessi comunicano le esperienze vissute durante il training e progettano insieme ai compagni un programma di intervento per la classe, sottolineando che gli operatori hanno un ruolo speciale, ma sono al servizio degli altri e del gruppo-classe. Nel caso s’individuano delle esigenze specifiche per alcuni ragazzi, è importante che l’insegnante incontri individualmente gli alunni destinatari, in modo da confermare il loro consenso. Durante la fase d’intervento gli operatori-amici hanno come referente il supervisore, il cui compito è quello di offrire occasioni di riflessione e di orientarli di fronte a situazioni difficili, ma anche a definire i limiti delle loro attività.
Il passaggio delle consegne
Il progetto ha una struttura piramidale e prevede un coinvolgimento sempre più massiccio di alunni. E’ opportuno, quindi far ruotare gli alunni con compiti di operatore-amico fino a coinvolgere l’intera classe.
3.4.6 La mediazione
LA MEDIAZIONE tra pari consiste in un metodo strutturato di gestione e risoluzione delle difficoltà interpersonali con l’aiuto di un gruppo di compagni mediatori, che in genere operano a coppie.
E’ un modello che si rivela appropriato nella risoluzione di conflitti, soprattutto quando si tratta di risolvere casi difficili e persistenti.
Dal momento che il concetto di conflitto risulta centrale per la comprensione di questo modello, cerchiamo ora di approfondirlo.
Il conflitto è un fatto inerente e derivante dall’interazione umana, poichè è inevitabile trovarsi di fronte ad opinioni, desideri ed interessi differenti.
Si ritiene spesso che la conseguenza naturale di un conflitto sia l’aggressività e il peggioramento delle relazioni.
In realtà questa conclusione non è così scontata, in quanto la risoluzione di un conflitto può essere negativa e distruttiva, ma anche positiva, cioè consistere in un’opportunità di conoscere meglio se stessi e gli altri.
In particolare, l’esito positivo è conseguente alla capacità di modificare il conflitto in modo da permettere l’evoluzione e la trasformazione delle relazioni tra le parti, consentendo un maggiore avvicinamento e rispetto reciproco.
Questo modo di affrontare il conflitto richiede l’acquisizione di abilità e competenze specifiche, una delle quali è proprio la mediazione.
“La mediazione è un metodo di risoluzione dei conflitti in cui le due parti fanno ricorso volontario ad una terza persona imparziale, il mediatore, per arrivare ad un accordo soddisfacente. La mediazione si basa sulla cooperazione, poichè promuove la ricerca di una soluzione da cui entrambi i soggetti, e non solo uno di essi, possono trarre beneficio.
Affinchè il processo di mediazione sia possibile, è necessario che le parti siano motivate e di conseguenza cooperino con il mediatore per risolvere la disputa.
La facilità nel far sì che l’accordo sia rispettato dipende dalla possibilità che la proposta scaturisca dagli interlocutori stessi e non sia imposta dall’esterno, magari come punizione. Ciò implica che le regole non nascono soltanto da un’autorità dominante ma possono essere concordate di comune accordo tra due persone, che in tal modo si rendono protagoniste e responsabili della loro creazione e del loro rispetto.
Il processo di mediazione si svolge in alcune fasi, in primo luogo c’è il momento della premeditazione, quando cioè i due mediatori incontrano le parti separatamente per determinare se la mediazione sia la modalità più appropriata per risolvere il conflitto.
Le parti cioè devono manifestare la volontà di risolvere il problema con l’intervento del mediatore e di collaborare nel processo. Questo è anche il momento per aiutare le parti a scaricare le emozioni legate al conflitto, in modo da poter giungere alla mediazione con un minor carico emotivo e una maggiore apertura verso l’altro.
In seguito agli incontri singoli viene predefinita una data di incontro nella quale saranno presenti oltre ai due mediatori anche i due soggetti interessati, viene loro esplicato come si procede in un sistema di mediazione e poi vengono invitati a turno ad esprimere la loro visione dell’accaduto, aiutandoli ad esprimere anche le emozioni vissute in modo ovviamente non aggressivo.
I mediatori devono porre delle domande per approfondire o rendere più concreti quegli aspetti che risultano poco chiari. Nel fare questo devono ricordarsi che fino a questo momento entrambe le parti sono convinte di avere ragione.
Fatto ciò viene chiesto alle parti di pensare ad una possibile soluzione. Sarà importante in questa fase discutere e valutare ogni proposta. Se il problema è complesso conviene iniziare ad elaborarne i punti più semplici, in modo da dare l’impressione di compiere passi avanti in senso collaborativo.
Questo è un modo per favorire la diminuzione di un’ostilità e arrivare così a trattare i punti più conflittuali con un atteggiamento di maggiore collaborazione.
Una volta deciso quale delle proposte sia più attuabile e soddisfacente per entrambe le parti, si redige un accordo che entrambe le parti si impegneranno a rispettare.
Vista la buona dote comunicativa e di ascolto attivo che vengono richieste da questo approccio se ne consiglia l’uso soprattutto tra ragazzi delle scuole superiori mentre risulta più difficilmente applicabile a contesti dove l’età dei ragazzi è minore.
3.4.7 Le life skills
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1993 ha pubblicato il documento “Life skills education in schools” che contiene l’elenco di tutte quelle skills (abilità, competenze) che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana.
L’idea di base è quella di far acquisire a ciascun ragazzo o ragazza quei saperi, quei modi di essere che lo aiuteranno a diventare una persona, un cittadino, un lavoratore responsabile, partecipe alla vita sociale, capace di assumere ruoli e funzioni in modo autonomo, in grado di saper affrontare le vicissitudini dell’esistenza.
Si tratta di “competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le varie situazioni; di rapportarsi con autostima a se stessi, con fiducia agli altri e alla più ampia comunità (dalla famiglia, alla scuola, al gruppo degli amici e conoscenti, alla società di appartenenza, ecc).
Il “nucleo fondamentale” delle “skills of life” è costituito dalle seguenti abilità e competenze:
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Decision making (capacità di prendere decisioni): prendiamo una buona decisione quando valutiamo le diverse possibilità che abbiamo e le conseguenze che ne possono derivare. Una decisione non è mai buona in assoluto, ma lo è rispetto ad uno specifico contesto e a se stessi. Una buona decisione tiene conto della complessità dell’essere umano, di se stessi con: le proprie priorità, i propri obiettivi, i propri punti di forza e debolezza, i propri valori, la propria cultura e le proprie emozioni; e del contesto: le persone coi propri obiettivi, valori, bisogni; le relazioni tra le persone ed il clima emotivo; l’ambiente: oggetti, spazi, clima atmosferico, ecc … la cultura.
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Problem solving (capacità di risolvere i problemi): Risolvere i problemi significa individuare soluzioni efficaci ad una situazione problematica tenendo presente il contesto e le persone coinvolte, compreso se stessi. Risolvere i problemi in modo efficace significa soddisfare sia i bisogni razionali e pratici che quelli relazionali ed emotivi.
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Pensiero creativo: la creatività serve per pensare ad alternative possibili, avere idee originali per trovare soluzioni, uscire da situazioni difficili o da schemi comportamentali che ci bloccano. In questo contesto la creatività diventa sinonimo di: abilità nel trovare alternative, curiosità, idee originali, varietà di interessi. Così definita la creatività è molto utile nella soluzione dei problemi, nella presa di decisioni, permette di trovare alternative originali nelle situazioni difficili e può rappresentare un ottimo antidoto allo stress.
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Pensiero critico: il senso critico consiste nel saper analizzare informazioni, situazioni ed esperienze in modo oggettivo, distinguendo la realtà dalle proprie impressioni soggettive e i propri pregiudizi, significa riconoscere i fattori che influenzano pensieri e comportamenti propri ed altrui e per questo aiuta a rimanere lucidi nelle scelte.
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Comunicazione efficace: comunicare in modo efficace significa sapersi esprimere in ogni situazione con qualunque interlocutore sia a livello verbale che non verbale (espressioni facciali, la voce e la postura), in modo chiaro e coerente con il proprio stato d'animo. Comunicare in modo efficace significa fare in modo che il messaggio che io (emittente) desidero comunicare all'altro (ricevente) arrivi in modo da poter essere compreso, ricordando che può esserci "rumore di fondo", cioè possono esserci interferenze sia esterne (vero e proprio rumore, linea telefonica disturbata, ecc...) che interne (emozioni, pensieri che interferiscono con l'espressione e la comprensione del messaggio). Pertanto è necessario tenere in alta considerazione il segnale di ritorno che ricevo dall'altro, il feedback e cioè: l'ascolto delle parole e l'osservazione delle espressioni facciali, la voce, la postura e le parole, per verificare se il mio messaggio è arrivato.
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Capacità di relazioni interpersonali: aiuta a mettersi in relazione e a interagire con gli altri in maniera positiva, riuscire a creare e mantenere relazioni amichevoli che possono avere forte rilievo sul benessere mentale e sociale. Tale capacità può esprimersi sul piano delle relazioni con i membri della propria famiglia, favorendo il mantenimento di un importante fonte di sostegno sociale; può inoltre voler dire essere capaci, se opportuno, di porre fine alle relazioni in maniera costruttiva.
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Autoconsapevolezza: La consapevolezza di sé ha a che fare con CONOSCERE SE STESSI. Essere consapevoli significa saper identificare: i propri punti di forza, le proprie aree deboli, il proprio modo di reagire di fronte alle situazioni, le proprie preferenze (es. in quali situazioni sto bene e in quali non mi sento a mio agio?), i propri desideri, i propri bisogni, le proprie emozioni.
La consapevolezza emotiva è la base per una buona consapevolezza di sé e consiste nel saper riconoscere i segnali emotivi del proprio corpo e dare un nome alle emozioni che si provano e che ci "informano" sulle nostre preferenze, gusti e bisogni.
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Empatia: è la capacità di mettersi nei panni degli altri, cioè di riconoscerne e condividerne le emozioni. Utilizzare l’empatia significa comprendere come si sente l’altra persona non solo con la testa, ma anche con il cuore e la pancia. L'ascolto attivo ed interessato è la base per una buona empatia. Provare empatia può aiutare a migliorare le interazioni sociali per es. in situazioni di differenze culturali o etniche.
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Gestione delle emozioni: implica il riconoscimento delle emozioni in noi stessi e negli altri; la consapevolezza di quanto le emozioni influenzino i comportamenti e la capacità di rispondere alle medesime in maniera appropriata. Gestire le proprie emozioni non significa controllarle, ma utilizzarle quali strumenti per agire, senza farsi travolgere o trasportare dalle emozioni, cioè re-agire. Gestire le proprie emozioni rende padroni di se stessi, perché ci permette di rimanere lucidi, efficaci senza perdere la testa: significa scegliere i propri comportamenti, quindi essere intenzionali nelle scelte valutandone gli effetti su noi stessi e sugli altri.
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Gestione dello stress: consiste nel riconoscere le fonti di stress nella vita quotidiana, nel comprendere come queste ci “tocchino” e nell’agire in modo da controllare i diversi livelli di stress. Gestire lo stress significa: tornare ad uno stato di benessere psicofisico, trovare strategie per modificare l'ambiente oppure noi stessi, ovvero: i pensieri, le emozioni, le reazioni abituali.
3.4.8 Sociogramma
Uno strumento utile ed efficace per analizzare le relazioni all’interno di un gruppo classe è il sociogramma. Tramite alcune domande da porre agli alunni, è possibile arrivare ad una rappresentazione grafica che evidenzia la posizione di ogni alunno all’interno del gruppo. Questo permette di sviluppare un maggior equilibrio interno e di aiutare alcuni bambini a risolvere i loro problemi di socializzazione.
Le domande sono le seguenti:
1- Durante la ricreazione chi sceglieresti per giocare fuori in giardino? (scegli due compagni)
2- Durante la ricreazione chi non sceglieresti per giocare fuori in giardino? (scegli due compagni)
3- Se la maestra ti facesse scegliere, chi vorresti con te per fare un lavoro in coppia? (scegli due compagni)
4- Se la maestra ti facesse scegliere, chi non vorresti con te per far un lavoro di coppia? (scegli due compagni)
Ora costruisci una tabella (matrice sociometrica) e un sociogramma a bersaglio, come nell’esempio riportato qui di seguito.
Generalmente emergono 5 diverse posizioni:
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ISOLATO: soggetto privo di qualsiasi riconoscimento dai compagni e quindi non nelle condizioni di instaurare alcun tipo di legame all’interno della classe (non ha ricevuto nè scelte nè rifiuti)
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MARGINALE: la cui presenza all’interno della classe non è fondamentale. La sua posizione non è centrale nella rete delle relazioni (hanno ricevuto un numero di scelte sensibilmente inferiori alla media)
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EMARGINATO: non è considerato positivamente dai suoi compagni (ha ricevuto il maggior numero di rifiuti dai compagni)
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POPOLARE: viene riconosciuto da molti compagni, ma non ha necessariamente legami (hanno ricevuto molte scelte anche se non ricambiate)
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LEADER: è il più riconosciuto dal gruppo ed ha molti legami con i compagni (ha ricevuto molte scelte, la maggior parte delle quali ricambiate)
Partendo da questa ripartizione, potrete agire per indagare i fattori che creano isolamento ed emarginazione, lavorando per favorire una maggiore coesione all’interno del contesto classe.