Lezione 1: Il bullismo e il cyberbullismo: origini del fenomeno, definizioni e differenze
Trattandosi di un fenomeno estremamente complesso e variegato, il bullismo si presta a essere analizzato e affrontato sotto diversi punti di vista. È fondamentale che gli insegnanti prendano in considerazione alcuni aspetti del bullismo, come i comportamenti di disturbo in classe, il disagio socio-educativo di coloro che commettono atti di bullismo, etc; come obiettivo professionale, gli insegnanti dovrebbero individuare gli aspetti di disagio e di carenza educativa in tutte le persone coinvolte e cercare di pensare a interventi mirati a migliorare quell'aspetto della situazione.
- 1.1 Origini e sviluppi del fenomeno
- 1.2 Il fenomeno del bullismo a scuola
- 1.3 Cyberbullismo- Definizione del fenomeno
- 1.4 Differenza tra bullismo e cyberbullismo
- 1.5 Ruoli nel bullismo e nel cyberbullismo
- 1.6 Varie tipologie di bullismo e cyberbullismo
- 1.7 Le cause del bullismo e del cyberbullismo
- 1.8 Conseguenze sociali del bullismo e del cyberbullismo
1.1 Origini e sviluppi del fenomeno
Ogni giorno i mezzi di comunicazione ci segnalano la sempre più urgente necessità di occuparci di un fenomeno dilagante tra i giovani: il bullismo. La crescita esponenziale di tale fenomeno, in modo particolare nel contesto scolastico, sottolinea l’importanza di affrontare tale problematica, di studiarla e conoscerla per evitare che in futuro possa divenire una vera e propria piaga sociale.
Le prime ricerche aventi come tema il fenomeno del bullismo a scuola si svilupparono in Norvegia e risalgono agli inizi degli anni Ottanta, quando Olweus (1983) condusse un’indagine descrittiva della popolazione scolastica norvegese riscontrando un’alta incidenza e gravità del fenomeno in tutte le fasce di età.
A partire da questa prima indagine, nel corso degli anni, in tutto il mondo, si sono moltiplicate le ricerche volte ad indagare sia la frequenza del fenomeno del bullismo, sia ad esplorare le dinamiche psicologiche e relazionali che si innescano tra i soggetti coinvolti nel fenomeno stesso. In Inghilterra, per esempio, Whitney e Smith (1993) condussero una rilevazione dalla quale emerse che, nonostante l’incidenza del fenomeno variasse tra le diverse tipologie di scuola studiate, nella scuola primaria la percentuale delle vittime non era mai inferiore al 19% e quella delle vittime delle scuole secondarie di primo grado non scendeva mai al di sotto dell’8%. Smith e Sharp (1994) lavorarono in 23 scuole del Regno Unito per quattro trimestri osservando che, a seguito del loro intervento, il miglioramento della problematica era positivamente correlato con l’entità dell’impegno profuso dai partecipanti. In molti altri Paesi, come l’Australia, il Belgio, la Finlandia, la Spagna e gli Stati Uniti sono stati attuati interventi su larga scala, permettendo di giungere ad una serie di variabili che sembrano essere presenti in tutte le realtà studiate e che, quindi, consentono di identificare alcune specificità trasversali, rispetto al contesto culturale, del fenomeno del bullismo. È stato dimostrato che la percentuale dei comportamenti categorizzabili come bullismo diminuisce al crescere dell’età dei ragazzi coinvolti, ma ciò non implica un miglioramento o una regressione del fenomeno, ma solo un cambiamento. Gli episodi di bullismo, infatti, diventano meno frequenti ma aumenta il loro tasso di pericolosità e gravità (Smith et al., 2008). Inoltre, è stato evidenziato che solitamente sono i maschi, con una percentuale maggiore rispetto alle femmine, ad assumere il ruolo di bulli, ma al contrario sono le ragazze che utilizzano maggiormente le forme del bullismo indiretto (Björkqvist, 1994). Altri elementi tipici, emersi dai vari studi condotti in diverse parti del mondo, riguardano i luoghi preferenziali del manifestarsi dei fenomeni di bullismo che risultano essere gli spazi scolastici, ma anche il fatto che i ruoli di bullo e vittima conservano una loro stabilità a distanza di tempo (Menesini, 2000).
1.2 Il fenomeno del bullismo a scuola
Negli ultimi decenni si è assistito a un significativo avanzamento della ricerca sul fenomeno del bullismo che coinvolge bambini/e e ragazzi/e. Affrontare le questioni che influiscono sul benessere dei bambini e dei ragazzi nei contesti scolastici è diventata una priorità crescente a livello internazionale, con la possibilità di stabilire un legame tra l'accesso a una scuola sicura e inclusiva e il benessere e la prosperità della società e con il recente rapporto delle Nazioni Unite (O'Higgins-Norman et al., 2022). In effetti, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite prevedono che i Paesi si concentrino sulla gestione di problemi come il bullismo in ambito scolastico come priorità e garantiscano l'accesso a un'istruzione equa e inclusiva. Questi principi sono fondamentali per sostenere l'accesso a contesti sicuri da parte di tutti i bambini e ragazzi della comunità scolastica, in quanto l'SDG 16 promuove il ruolo dell'istruzione nel sostenere lo sviluppo di società pacifiche e inclusive. Secondo Olweus (2013, p. 770), "essere vittima di bullismo da parte di coetanei rappresenta una grave violazione dei diritti fondamentali del bambino o del giovane esposto" e la gestione di questo fenomeno è una priorità per l'offerta di un'istruzione adeguata.
Considerata la priorità data allo studio del fenomeno del bullismo tra i bambini e i ragazzi sia nella letteratura di ricerca che nelle priorità politiche internazionali, è preoccupante che ci sia ancora disaccordo su come il bullismo venga definito e concettualizzato (Cornu, Abduvahobov, Laoufi, Liu, & Séguy, 2022; O'Higgins-Norman et al, 2022). Tradizionalmente, il bullismo è stato fortemente influenzato dalle definizioni sviluppate da Olweus (1993), la cui definizione comprendeva tre criteri:
1) intenzionalità (desiderio o obiettivo di infliggere danni, intimidazioni e/o umiliazioni),
2) ripetitività e, soprattutto,
3) uno squilibrio di potere tra gli individui in un ambiente sociale condiviso (Olweus, 1993; 2013).
La forma particolare del divario di potere è intesa come diversa e dipendente da fattori contestuali, come la disparità fisica di forza, lo status sociale all'interno di un gruppo di pari o fattori economici, ad esempio. L'incidenza del bullismo può verificarsi durante interazioni dirette (cioè faccia a faccia) o indirette (cioè che non comportano la vicinanza fisica o l'impegno diretto di persona). Può assumere diverse forme, come quelle fisiche (pugni, calci), relazionali (azioni volte a danneggiare la reputazione o le relazioni), danni materiali (distruzione o furto di beni personali) e verbali (comunicazioni orali o scritte volte a danneggiare). I casi di bullismo possono anche verificarsi in una serie di contesti diversi, come a scuola, nella comunità (ma coinvolgendo CYP che si conoscono a scuola) e online sotto forma di cyberbullismo.
Tuttavia, la letteratura recente ha portato a un disaccordo tra i ricercatori su alcuni aspetti di questa definizione. Ad esempio, alcuni hanno suggerito che le interazioni possono essere simili ma non soddisfare i criteri per essere classificate come bullismo, con il conflitto tra individui ugualmente abbinati attraverso i fattori salienti del potere che è stato proposto come un "conflitto tra pari" (Elliot et al., 2010, p. 534) o un'aggressione interpersonale, piuttosto che un episodio di bullismo. Inoltre, c'è stato disaccordo anche sul ruolo della ripetizione delle interazioni per soddisfare i criteri per essere considerato bullismo (Wolke & Lereya, 2015). Questi limiti nelle definizioni tradizionali di bullismo sono amplificati dalla maggiore diffusione e attenzione al fenomeno del cyberbullismo, che avviene attraverso piattaforme o media online. La proliferazione di contenuti video e la possibilità di condividere ripetutamente messaggi o file video tra gruppi sociali aumenta la complessità sociale del fenomeno del bullismo e la sua concettualizzazione.
Il comitato scientifico dell'UNESCO ha recentemente provato a rivedere le definizioni di bullismo scolastico verso una prospettiva che ha identificato come un approccio di tipo "whole-education" (Cornu et al., 2022). Questo approccio colloca la scuola all'interno del più vasto contesto sociale che include una comunità educativa più ampia, e considera le tecnologie che supportano le relazioni in questa concettualizzazione più ampia. Questo approccio assume una prospettiva più ampia riguardo al bullismo ed è fortemente influenzato da una prospettiva socio-ecologico (Bronfenbrenner, 1979; Espelage & Swearer, 2004). La definizione da loro elaborata definisce il bullismo scolastico come un comportamento di persone e online tra studenti all'interno di una rete sociale che causa danni fisici, emotivi o sociali agli studenti presi di mira. È caratterizzato da uno squilibrio di potere che è consentito o inibito dalle norme sociali e istituzionali e dal contesto della scuola e del sistema educativo.Il bullismo scolastico implica l'assenza di risposte efficaci e di attenzione nei confronti del bersaglio da parte di coetanei e adulti (Cornu et al, 2022).
1.3 Cyberbullismo- Definizione del fenomeno
Molto spesso capita che conflittualità lievi o acute tra coetanei possano diventare azioni di prepotenza e prevaricazione attuate anche via internet, con gravi effetti di amplificazione per le vittime. E’ importante e utile promuovere e agevolare un confronto diretto tra i soggetti interessati per evitare che le antipatie perdurino e che la situazione sfoci in qualcosa di più grave. La pubblicazione di foto, video o informazioni private della vittima, la diffusione di maldicenze attraverso strumenti e mezzi tecnologici come il cellulare o la posta elettronica, o l’attuazione di minacce ripetute dirette alla vittima, sono solo alcuni esempi di azioni di cyberbullismo. La facilità e la competenza con cui le nuove generazioni utilizzano la tecnologia permette loro di perpetrare aggressioni informatiche. L’autore della prepotenza e la vittima sono divisi da uno schermo di un computer o dal display di uno smartphone: ciò impedisce la piena comprensione di quanto doloroso sia quello che subisce la vittima o quanto sia grave l’azione attuata dal cyberbullo. Questi atti vengono attuati allo scopo di insultare, ledere la reputazione, incutere timore o paura in qualcuno, ottenere popolarità all’interno di un gruppo, o semplicemente divertirsi o combattere la noia. Si tratta quindi di prepotenze intenzionali (differenti da ciò che può essere uno scherzo o un litigio) compiute in maniera duratura (almeno per qualche mese) e sistematica, a danno della stessa, o stesse, persona/e, in cui sussiste una situazione di squilibrio di forze, dove chi ha il potere, virtuale in questo caso, lo esercita a danno di chi è più debole. Sul web, la platea che assiste alla vessazione è esponenzialmente numerosa e dunque il tam-tam sociale, che ne sussegue è reso ancora più rapido e gravoso, se diffamatorio. Per questo, spesso, la vittima sviluppa pensieri paranoici perché crede, che anche in sua assenza, il vociferare nella rete riguardo lei, sia incessante, continuo e costante.
CARATTERISTICHE PRINCIPALI
La possibilità di avere un’identità anonima e la difficoltà nel rintracciare l’autore delle prepotenze, che può avvenire solo a seguito di una formale denuncia alla Polizia Postale e delle Comunicazioni, facilita l’emissione di comportamenti persecutori in rete ed elimina la preoccupazione legata al fatto di essere scoperti, disapprovati o puniti. La semplicità nell’accesso alla rete permette inoltre al materiale divulgato di circolare tranquillamente e incondizionatamente senza limiti di orari e permanere sui siti per lungo tempo. In questa situazione, il disimpegno morale (Bandura, 2002) può essere considerato uno fra i meccanismi psicologici che spingono il cyberbullo a perseguitare qualcuno. Si verifica ciò che viene chiamata “deumanizzazione delle vittime”: il cyberbullo finisce col dissociarsi dal dispiacere che verrebbe loro procurato. Questo appiattimento dell’empatia, (intesa come la capacità di “calzare i panni dell’altro”), frena il nascere e lo svilupparsi del senso di colpa di fronte alla sofferenza altrui. Infatti, nel cyberbullismo, l’assenza di un contatto reale tra il/la ragazzo/a che commette atti di bullismo e il target (face to face contact) facilita e amplifica la deumanizzazione. Inoltre, l’assenza di limiti di spazio e di tempo permette al fenomeno di diffondersi ovunque e all’infinito nel tempo, mentre l'invisibilità e la possibilità di creare una finta personalità e identità virtuale, permette al cyberbullo di accrescere il proprio potere: anche per questo il livello di disinibizione è alto, e in rete vengono attuate azioni differenti da quelle che si farebbero nella vita reale. Infatti la possibilità di essere "un'altra persona" online, può indebolire le remore etiche: il cyberbullo, infatti non vedendo realmente le conseguenze delle sue azioni, non si rende conto della gravità di ciò che sta facendo. Inoltre l’assenza di relazione e di conoscenza con l’altra persona, amplifica maggiormente tale fattore: molto spesso, infatti, nel bullismo elettronico le persone non si conoscono realmente tra loro. La difficile reperibilità del cyberbullo permette ancor di più la diffusione del fenomeno.
1.4 Differenza tra bullismo e cyberbullismo
Seppur parliamo di due fenomeni lesivi che vanno a ledere il benessere di altre persone, tra il bullismo e il cyberbullismo esistono molteplici e sostanziali differenze. In genere, nel bullismo gli attori sono ben definiti e sono rappresentati dal givane che commette atti di bullismo, dai gregari, dal target e dagli spettatori. Spesso le azioni prevaricatrici si sviluppano tra persone della stessa scuola o della stessa compagnia, tra soggetti che si conoscono tra loro. Gli episodi, infatti, si verificano spesso in classe, a scuola, nei gruppi sportivi e avvengono in tempi precisi: nella pausa di ricreazione, nel tragitto da casa a scuola, negli spogliatoi del centro sportivo. In tale fenomeno, è evidente il bisogno del bullo di rendersi “visibile”, di essere al centro dell’attenzione: il livello di disinibizione del “bullo”, in questi casi, dipende spesso anche dalla dinamica di gruppo. Il bullo attua gli atti di aggressione, senza curarsi delle conseguenze delle sue azioni a danno della “vittima”. Nel cyberbullismo invece possono essere coinvolte persone di tutto il mondo anche non conosciute. Il materiale può essere diffuso in tutto il mondo e circolare in qualunque orario in rete, rimanendo sui siti anche per lungo. In tale fenomeno esiste un alto livello di disinibizione del cyberbullo: egli infatti attua delle cose che nella vita reale sarebbero più contenute, forse anche perché il suo potere è maggiormente accresciuto dall'invisibilità e dal fatto che egli non può vedere concretamente gli effetti delle sue azioni. Uno studio effettuato da alcuni studiosi ha evidenziato il fatto che chi è stato vittima di bullismo offline spesso si è rivelato poi aggressore on-line, invertendo il ruolo nei due contesti, forse spinto dall’anonimato e dal desiderio di vendetta (Ybarra e Mitchell, 2004). Un’altra inversione di ruoli, ma nella direzione opposta, viene riportata invece da un diverso studio che evidenzia come i target di bullismo elettronico sono, con maggiore probabilità, bulli nel contesto tradizionale (Raskauskas e Stoltz, 2008)
1.5 Ruoli nel bullismo e nel cyberbullismo
Data la natura sociale e transazionale del fenomeno del bullismo, i ricercatori hanno esplorato i diversi ruoli dei giovani che partecipano o subiscono episodi di bullismo (Olweus, 2013). Tradizionalmente, il fenomeno è stato suddiviso in due categorie o ruoli: bullo e vittima, mentre più recentemente è stata aggiunta la categoria di partecipante (Gumpel, 2008; Olweus, 2013; Yen, Ko, Liu, & Hu, 2015). In termini di lavori più recenti sui programmi di prevenzione del bullismo, vengono utilizzati i termini e i ruoli di "target", "giovani che commettono atti di bullismo" e "spettatori".
Ruoli nel bullismo Nello sviluppo di programmi di prevenzione del bullismo è importante considerare il linguaggio, i termini e i ruoli all'interno della dinamica del bullismo. La progettazione, lo sviluppo e l'attuazione del programma devono tenere conto delle caratteristiche di questi ruoli. I termini "bullo" e "vittima" tendono a etichettare gli individui, mentre i termini "target" e "giovani che commettono atti di bullismo" sottolineano gli elementi comportamentali e la possibilità di cambiamento. Programmi recenti hanno incorporato il ruolo degli astanti come parte della strategia di prevenzione del bullismo scolastico, ad esempio FUSE, DCU. Insegnare a coloro che assistono ad atti di bullismo a reagire in modo appropriato (scoraggiando, intervenendo o segnalando il bullismo) può essere un modo efficace per limitare e prevenire il bullismo. Giovani che commettono atti di bullismo Gli studenti che compiono atti di bullismo spesso lo fanno per ottenere uno status e un riconoscimento da parte dei loro coetanei. Il loro comportamento di bullismo si rafforza quando intimidiscono i loro bersagli e quando il gruppo dei pari collabora non sfidando l'iniziatore o denunciando il bullismo al personale. Il bullismo può essere gratificante, in quanto aumenta lo status sociale dell'iniziatore e abbassa quello del target. La cultura di una scuola influenza fortemente la misura in cui ciò avviene.
Target Gli studenti di tutte le età possono essere a rischio di bullismo (cioè di essere presi di mira) per una serie di motivi, tra cui:
Spettatori Gli spettatori sono studenti che assistono al bullismo. Possono avere una forte influenza: il modo in cui reagiscono può incoraggiare o inibire chi compie atti di bullismo. Esistono diversi tipi di spettatori
Gli spettatori possono svolgere diversi ruoli:
Gli spettatori che non intervengono o si comportano in modo da dare un'approvazione silenziosa (guardando, annuendo, chiudendo un occhio) incoraggiano la continuazione del comportamento di bullismo. Insegnare agli spettatori a reagire in modo appropriato (scoraggiando, intervenendo o denunciando il bullismo) può essere un modo efficace per limitare e prevenire il bullismo. |
1.6 Varie tipologie di bullismo e cyberbullismo
Bullismo
Esistono diversi modi di mettere in atto forme di bullismo.
Può essere fisico, quando si attua attraverso aggressioni e prevaricazioni per l'appunto fisiche (colpire, calciare, spintonare, percuotere, pizzicare o aggredire con oggetti). Ma può riferirsi anche ad una violenza sulle cose o contro le proprietà, attraverso, ad esempio, la sottrazione di oggetti, il danneggiamento degli stessi, o estorcendo denaro al target. In genere questa è la forma più semplice da individuare.
Può manifestarsi però anche in una forma verbale, attraverso insulti, prese in giro, aggressioni verbali. Significa deridere, schernire ripetutamente il target, apostrofarlo/a con nomignoli umilianti, fare commenti riguardo al modo di vestire o parlare, fare commenti razziali o sessisti. Questa forma di violenza reiterata nel tempo comporta un progressivo e deleterio logoramento interiore nel target. Ma esiste anche la violenza indiretta o psicologica, che si attua prevalentemente attraverso la divulgazione di maldicenze, l’esclusione intenzionale, la diffusione di pettegolezzi fastidiosi o attraverso minacce, umiliazioni e derisioni. Si definisce invece relazionale quando comporta l’isolamento della vittima. Anche ignorare qualcuno rientra in questa forma di bullismo. Questa in particolare si riferisce ad una forma di «aggressione» che si manifesta soprattutto sotto forma di «subdolo pettegolezzo» e che riguarda maggiormente il sesso femminile, più che quello maschile.
Cyberbullismo
Il cyberbullo può infliggere una violenza o un danno psicologico immediato e a lungo termine al proprio bersaglio attraverso vari modi:
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Cyberbashing
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Harassment o Put Down
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Denigration
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Cyberstalking
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Flaming
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Impersonation
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Exclusion
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Outing o Trickery
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Exposure
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Sexting
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Sextortion
CYBERBASHING
Il CYBERBASHING è la forma di cyberbullismo più frequente e si evidenzia quando una vittima viene aggredita, colpita o molestata mentre un gruppo di spettatori riprende la scena con la fotocamera del telefono per poi divulgare le immagini e i filmati nel web.
Le prevaricazioni digitali sono all’ordine del giorno e vengono utilizzate dai ragazzi al fine di umiliare, attaccare e denigrare gli altri, molte delle quali sono sconosciute a gran parte degli adulti.
Si tratta di forme di violenza, spesso agite in branco, in cui viene utilizzata la forza fisica con l’intento di far male: ragazzi che si prendono a pugni e a calci, ragazze che si picchiano e si tirano i capelli mentre gli altri restano a guardare ciò che accade, senza intervenire, se non a commentare e ad incitare a continuare, mentre registrano il tutto dietro lo schermo di uno smartphone. I video sono poi postati su gruppi e pagine con l’hashtag WorldStar, diffuse in più parti del mondo: ormai per essere visibili e popolari, ricevere like, commenti e condivisioni su un video che attira l’attenzione, si fa davvero di tutto.
Parliamo di 4 adolescenti su 100 che filmano e riprendono i compagni nel mentre che vengono picchiati e subiscono violenze fisiche, senza minimamente intervenire, lasciandoli alla mercé di questo tipo di violenze (Dati Osservatorio Nazionale Adolescenza).
L’aspetto più allarmante è la condivisione, l’apprezzamento e l’istigazione all’odio che c’è in rete: in pochissimo tempo, infatti, i filmati raggiungono migliaia di visualizzazioni e like. Nessuno interviene, anzi, la maggior parte di chi visiona questi video è come se stesse guardando un film, ride, si diverte, si esalta, commenta con insulti e condivide, alimentando il fenomeno.
Le pagine dove sono raccolti questi filmati sono state segnalate e chiuse più volte ma poi riaperte con altri nomi, tanto che la maggior parte dei video resta reperibile in rete, attivando un effetto contagio potentissimo.
Si rischia di favorire una normalizzazione, una maggiore accettazione di tali comportamenti da parte di chi è già propenso a questo tipo di violenze. C’è anche una profonda deresponsabilizzazione in coloro che guardano e non fanno nulla perché non si sentono coinvolti in prima persona, perché si coprono dietro al fatto che “non sono loro a fare a botte”. Lo schermo, inoltre, deumanizza, spoglia dei sentimenti e delle emozioni, in chi non si mette minimamente nei panni della vittima e non mostra alcuna solidarietà nei suoi confronti.
In questi ragazzi, manca totalmente la consapevolezza di ciò che fanno sia verso se stessi che verso gli altri, non riuscendo a capire il limite tra gioco, divertimento, prevaricazione e violenza. Manca un’educazione su tutti i fronti, che deve coinvolgere anche tutti quegli spettatori che, se intervenissero subito e se non condividessero, potrebbero almeno arginare questo tipo di fenomeni così violenti.
HARASSMENT e PUT DOWN
L’HARASSMENT (che significa molestia) consiste nell’invio ripetuto di messaggi offensivi, sgradevoli, diffamatori ed ingiuriosi, che vengono inviati, in modo ripetuto nel tempo, attraverso i mezzi tecnologici (chat, email, sms, blog, telefonate anonime).
Put down (denigrare): ovvero denigrare qualcuno attraverso e-mail, sms, post inviate ad un blog, ovvero un gruppo di persone. Tale strumento mira a colpire non la persona per come realmente è, ma la sua reputazione agli occhi degli altri, che viene compromessa non solo nel web ma anche da tutti coloro i quali sono informati dal cyberbullo.
Si tratta, dunque, di una relazione sbilanciata nella quale, come nel tradizionale bullismo, la vittima è sempre in posizione one down (Watzlawick, Beavin, Jackson, 1971), subisce, cioè, passivamente le molestie o, al massimo, tenta, generalmente senza successo, di convincere il persecutore a porre fine alle aggressioni. Può talvolta anche accadere che il target replichi ai messaggi offensivi con comunicazioni altrettanto scortesi ed aggressive con l’unico intento di far cessare i comportamenti molesti.In alcuni casi, il cyberbullo, per rafforzare la propria attività offensiva, può anche coinvolgere i propri contatti on line (mailing list), che, magari pur non conoscendo direttamente lo studente target, si prestano a partecipare alle aggressioni on line (si potrebbe definire il fenomeno “harassment con reclutamento volontario”, Pisano, 2008).
Ecco una storia esplicativa di questo fenomeno:
“Valeria è felice. Finalmente, dopo mesi, è riuscita a mettersi insieme a Manuel, il ragazzo di seconda che le piaceva fin dall’inizio della scuola. Ha superato la timidezza e sabato, alla festa di Luca, ha chiesto a Manuel se voleva stare con lei. Lui, dopo un lunghissimo istante di silenzio, ha detto sì. Valeria è al settimo cielo e scherza con le amiche via chat. C’è chi scherza dicendo che è fortunata ad avere un ragazzo così bello e chi le fa i complimenti per la conquista. Valeria ride, imbarazzata e felice al tempo stesso.
Poi lo smartphone trilla nuovamente: è un sms da un numero sconosciuto. Il messaggio è brutale: “Te la faccio pagare”. Valeria è stupita, pensa sia un errore, un messaggio destinato a qualcun altro. Poco dopo, lo smartphone trilla di nuovo: è lo stesso numero, e il messaggio è ancora più minaccioso. Valeria sbianca, deglutisce lentamente. Poi si fa coraggio e scrive: “Chi sei?”. Nessuna risposta.
Per il resto della giornata, l’utente misterioso non risponde e non la cerca. Lo stesso accade il giorno dopo, così Valeria torna a essere tranquilla. Finalmente può pensare solo a Manuel, con cui si scambia una serie infinita di messaggi dolci.
Ma dopo tre giorni, il numero sconosciuto ritorna, e questa volta non lascia scampo a dubbi: “Mi hai rubato Manuel”. Valeria si sente invadere dalla rabbia: lei non ha rubato il ragazzo a nessuno, è Manuel che l’ha scelta. Prova a capire chi sia il mittente, ma non riesce ad avere informazioni certe.
E intanto i messaggi aumentano, diventano una costante delle sue giornate, come la paura che le attanaglia lo stomaco ogni volta che il telefono squilla. Valeria inizia anche a temere il tragitto da casa a scuola: ha paura che qualcuno arrivi all’improvviso a farle del male. E alla fine decide di troncare con Manuel. Non vuole più vederlo, perché il disagio accompagna ogni momento passato con lui.”
DENIGRATION
La DENIGRATION consiste nella diffusione online di maldicenze, menzogne o dicerie, pettegolezzi, spesso di tipo offensivo e crudele, allo scopo di diffamare o insultare qualcuno o danneggiare la sua reputazione e i suoi rapporti personali.
I cyberbulli possono, infatti, inviare o pubblicare su internet immagini (fotografie o videoclip) alterate del target, ad esempio, modificando il viso o il corpo dello studente target al fine di ridicolizzarlo, oppure rendendolo protagonista di scene sessualmente esplicite, attraverso l’uso di fotomontaggi.
In questi casi, i coetanei che ricevono i messaggi o visualizzano su internet le fotografie o i videoclip non sono, necessariamente, le vittime (come, invece, prevalentemente avviene nell’harassment e nel cyberstalking) ma spettatori, talvolta passivi del cyberbullismo (quando si limitano a guardare), più facilmente attivi (se scaricano – download – il materiale, lo segnalano ad altri amici, lo commentano e lo votano).
Dunque, a differenza di quanto avviene nel cyberstalking, l’attività offensiva ed intenzionale del cyberbullo può concretizzarsi in una sola azione (esempio: pubblicare una foto ritoccata del compagno di classe), capace di generare, con il contributo attivo, ma non necessariamente richiesto, degli altri utenti di internet (“reclutamento involontario”,Pisano, 2008), effetti a cascata non prevedibili.
Ricordiamo, infine, che la denigration è la forma di cyberbullismo più comunemente utilizzata dagli studenti contro i loro docenti: numerosi sono, infatti, i videoclip, gravemente offensivi, presenti su internet, riportanti episodi della vita in classe. In alcuni casi le scene rappresentate sono evidentemente false e, dunque, ri-costruite ad hoc dallo studente, talvolta sono, purtroppo, vere.
Ecco un esempio concreto:
“Marco è al primo anno di scuola media ed è approdato in una classe dove non conosce nessuno: stringere nuove amicizie è difficile. A rompere il ghiaccio, ci pensa Annalisa: dopo aver chiesto il numero di cellulare a tutti, la sua compagna crea su WhatsApp il gruppo di classe. I ragazzi iniziano a interagire. C'è chi scrive battute, come Giacomo, chi manda foto curiose, come Sara, e chi, come Gloria, risponde solo con emoticon sorridenti e semplici "ahah". Altri, invece, visualizzano le conversazioni ma non partecipano. Annalisa non si preoccupa: prima o poi sarà anche il loro turno. Il gruppo su WhatsApp sembra aiutare anche nella vita reale, perché i ragazzi ora si ritrovano a parlare di quella foto condivisa o quella canzone che Sara ha linkato.
Va tutto bene, insomma. Fino a quando non arriva il compito di matematica. Il giorno prima tutti ne parlano, e si scambiano promesse di "aiutarsi" e “suggerire”. Il dibattito, sul gruppo, continua anche al termine del test. E per la prima volta, Dario interviene. Dario siede a due posti da Marco: sta sempre sulle sue e parla poco. I suoi migliori amici sono in altre classi e lui passa la ricreazione con loro. Durante il compito Dario è finito accanto a Marco e, per tutta l’ora del test, gli ha chiesto i risultati. Ma Marco non è riuscito ad aiutarlo perché la professoressa lo teneva d’occhio.
Dario quindi esordisce nel gruppo con un'accusa ben precisa: Marco si è rifiutato di passargli il compito. È un'accusa falsa e piena di offese. Marco cerca di giustificarsi, ma Dario continua ad insultarlo. Qualcuno prova a fermare il compagno, ma si stufa quasi subito: d'altronde il suo attacco è solo nei confronti di Marco e tutti preferiscono parlare d'altro.
Solo Annalisa scrive un messaggio privato all'amico ingiustamente attaccato: gli dice di lasciar perdere, che Dario sta dicendo solo bugie e che nessuno gli crede. A Marco, però, quelle parole dure fanno male. Non riesce a non dar loro peso. E così, quello che prima era uno spazio dove divertirsi, diventa ora un terreno di scontro, e Marco perde la voglia di interagire con i compagni…”
CYBERSTALKING
Il CYBERSTALKING consiste nell’ invio ripetuto di messaggi intimidatori contenenti minacce e offese. Può considerarsi una vera e propria persecuzione telematica a seguito della quale il target inizia a temere per la sua incolumità fisica.
Se l’Harassment comporta prendere di mira qualcuno ogni tanto, il Cyberstalking (persecuzione online) è un incessante fuoco di fila, che punta a spaventare la vittima con minacce, anche di violenza fisica.
“È sabato pomeriggio e Mattia è andato al parco con i suoi compagni per fare una partita di calcio contro i ragazzi più grandi del quartiere. Poco prima dell'ultimo gol, quello che deciderà la sfida, Mattia vede avanzare l'attaccante della squadra avversaria. Decide di contrastarlo con un fallo piuttosto irruento, e lo atterra. I compagni recuperano la palla e segnano in contropiede. Tra i compagni, Mattia diventa l'eroe, quello che ha salvato la partita. Ma l'attaccante della squadra avversaria non la pensa così: a un certo punto, gli si avvicina e gli sussurra qualcosa di incomprensibile all’orecchio, poi si allontana.
Il giorno dopo, Mattia trova un messaggio nella chat di Facebook. Il mittente è il ragazzo più grande, e il testo è una minaccia con un chiaro riferimento alla partita di sabato. Passano venti minuti, e all’indirizzo di posta elettronica di Mattia arriva una mail: l’oggetto è una provocazione. Un'ora dopo arrivano altre quattro mail che contengono foto violente. L'oggetto è un raggelante: "Vuoi finire così?"
Mattia non perde la calma, e decide di lasciar perdere. Spera che il ragazzo più grande prima o poi si stancherà. Ma non è così. Dopo una settimana, Mattia ricomincia a ricevere almeno dieci messaggi di minaccia su Facebook e tre mail diverse ogni giorno, piene di dettagli su cosa potrebbe succedergli se si facesse trovare in giro da solo.
Mattia inizia ad aver paura e comincia a non voler più uscire di casa da solo. Rinuncia persino a fare il suo solito giro in bicicletta per il quartiere, cosa che aveva sempre adorato fare subito dopo pranzo.
Dopo un mese i messaggi aumentano ulteriormente, ma Mattia preferisce non parlarne con nessuno per non fare la figura del codardo. Ma ora non esce praticamente più: anche quando è in compagnia non si sente sicuro e le rare volte che si trova con gli amici passa tutto il tempo a guardarsi intorno, preoccupato.
"Che cosa c’è? Tutto a posto?" gli chiede il suo miglior amico Francesco.
Mattia minimizza: prima o poi quel ragazzo smetterà di minacciarlo. Forse.”
FLAMING
Il FLAMING consiste in messaggi violenti e volgari che mirano a suscitare contrasti e battaglie verbali negli spazi web tra due persone che utilizzano la stessa modalità.
Il Flaming è l’offesa, pura e semplice, fatta sui social pubblici e spesso volgare, magari scritta tra i commenti del diario di Facebook o in un forum, un gruppo di discussione online.
“Paolo è molto sensibile alle tematiche per la salvaguardia dell'ambiente. Da tempo, sulla sua pagina Facebook condivide articoli, foto e filmati che, a suo parere, dovrebbero "scuotere la coscienza di tutti". E, a modo suo, qualche effetto lo ottiene. I compagni di scuola ogni tanto ironizzano, ma il più delle volte si limitano a commentare con un "Bravo! Così si fa!". Lo stesso vale per gli amici di famiglia, che apprezzano il suo impegno.
Paolo ha scelto inoltre di condividere tutti i post in forma pubblica per attirare più gente, ma nessun contatto sconosciuto ha mai commentato. Una sera, però, sotto un nuovo articolo anti-inquinamento, si presenta a sorpresa un utente chiamato Max Turbo. Il primo commento è una lunga sequenza di offese che niente hanno a che vedere con l'articolo.
Paolo decide di non rispondere: lo farà qualcuno dei suoi contatti per lui. Nessuno invece interviene, e Max Turbo continua a commentare aumentando la creatività delle sue offese. A peggiorare le cose, un paio di suoi compagni di scuola commentano divertiti per lo "stile" dello sconosciuto attaccabrighe.
A quel punto, Paolo decide di rispondere e lo fa in un primo momento con calma e diplomazia, invitando l'utente a non dire parolacce. E ottiene l'effetto contrario: Max Turbo ora se la prende direttamente con Paolo. E il ragazzo perde la pazienza e inizia a rispondergli per le rime.
I commenti diventano decine e decine. Talvolta qualcuno prova a intervenire per riportare la calma, ma inutilmente, e intanto aumentano i tifosi di entrambi i contendenti. C'è chi li sprona a osare di più e chi si schiera da una delle due parti. Il giorno dopo, il post contiene oltre settecento commenti. Paolo li rilegge tutti con una punta di rabbia e si promette solennemente che d'ora in avanti non posterà mai più nulla sui social, nemmeno quei bellissimi post per la salvaguardia della Terra per cui aveva speso tante energie.”
MASQUERADE o IMPERSONATION
Nel caso dell’ IMPERSONATION, l'aggressore attua un vero e proprio furto d’identità, ottenendo informazioni private (password, nickname) che gli consentono di accedere all’account di qualcun altro con il fine di danneggiare la sua reputazione o prenderne possesso.
“Francesco non si è mai iscritto a nessun social. È in terza media e quasi tutti i suoi compagni sono presenti su una o più piattaforme. Per questo motivo, a volte, si sente escluso da determinati discorsi, ma non dà più di tanto peso alla cosa. Anzi, per certi aspetti, è famoso proprio perché si rifiuta di stare connesso e questa cosa fa sorridere gli amici, che lo vedono come il ragazzo “alternativo”.
Un giorno Stefano, un compagno di classe, gli si avvicina sorridendo e gli dà una pacca sulla spalla: “Hai ceduto anche te, eh? Ti sei finalmente iscritto a Facebook”. Francesco lo fissa esterrefatto: lui non ha fatto proprio nulla! Prova a negare, a dire che si sta sbagliando, ma Stefano insiste: risulta iscritto dalla sera precedente a Facebook e ha già chiesto l'amicizia a tutti i compagni.
Francesco impallidisce: deve controllare cosa sta succedendo. Così, si fa prestare lo smartphone da Stefano e guarda quello che dovrebbe essere il suo profilo. Nella foto dell'avatar c'è il suo calciatore preferito, la data di nascita è corretta. C'è solo un post nel profilo: "Alla fine ci sono anch'io! Ciao a tutti!", seguito da un elenco di commenti di benvenuto.
Francesco non ha idea di come fronteggiare la cosa, se non dichiarando che quello è un profilo falso. Ma l'affermazione viene accolta da una risata globale: lo sanno tutti che mancava solo lui sui social network, e di sicuro Francesco sta mentendo per attirare l’attenzione!
Il giorno dopo, la situazione peggiora: nell'arco di ventiquattro ore il falso profilo Facebook ha mandato messaggi offensivi a tutte le compagne di scuola, minacciato un paio di ragazzi di prima e condiviso link "imbarazzanti". Quando il ragazzo entra in classe viene accolto da sguardi torvi e qualche compagna lo riprende dicendo che si dovrebbe vergognare per quello che ha scritto. "Non sono stato io" ripete Francesco, ma nessuno gli crede.
E mentre il povero Francesco continua inutilmente a difendersi, in un angolo della classe Stefano aggiorna il suo profilo nuovo di zecca e totalmente falso.”
EXCLUSION (esclusione)
L’Exclusion consiste nell’ escludere ed estromettere volontariamente qualcuno da un gruppo online, da una chat, da un forum, o da altre attività, solo al fine di ferirla.
Non invitare un compagno al gruppo di classe su WhatsApp, oppure fare in modo che su Facebook nessuno accetti l’amicizia di quella ragazza della palestra, semplicemente perché hai deciso che è antipatica, sono esempi di Exclusion.
“Luisa quest'anno ha cambiato squadra di pallavolo. È entrata in un team di ragazze che giocano insieme da sette anni, e lei ancora non conosce nessuno. Il gruppo è molto unito, e sembra non accettare di buon grado la nuova venuta.
Luisa è una ragazza solare e allegra, e non è abituata a questo tipo di accoglienza. Perciò, fin dal primo giorno di allenamento, cerca di stabilire un bel rapporto con le compagne, ascoltando, intervenendo nelle conversazioni e mostrandosi disponibile. Ma ogni sforzo cade nel nulla.
Un giorno, la palleggiatrice, Betta, le confida che questo loro atteggiamento deriva dal fatto che lei non fa parte del gruppo online della squadra, e quindi è un’esclusa. E le dice che per entrare a far parte del gruppo dovrà prima "meritarselo".
Luisa non capisce bene come acquisire questo merito, ma decide di impegnarsi il più possibile: inizia così a soddisfare qualsiasi esigenza delle compagne, che le chiedono di portar loro da bere, di prestare l’asciugamano o il pettine, di fare la doccia per ultima, quando l’acqua è ormai fredda, e così via.
Luisa la prende con ironia, come una sorta di "sfida" per conquistare la loro fiducia e cerca di non prendersela. Ma il tempo passa e, dopo due mesi, non ha ancora ricevuto nessun invito al gruppo online. In compenso, ad ogni allenamento ascolta le conversazioni divertite delle compagne che parlano di cose che hanno "messo nel gruppo".
Luisa inizia a disperarsi: nonostante si sia comportata bene e si sia messa sempre a disposizione delle altre, non si sente accettata. Inizia a detestare gli allenamenti, comincia a non presentarsi alle partite, e i suoi genitori non riescono a capire come mai si sia spenta la sua grande passione per la pallavolo.
Luisa vorrebbe parlare con loro, spiegare che l'ingresso in quel gruppo sarebbe un passo importante per lei. Ma ogni volta che ci prova, un nodo le stringe lo stomaco e le parole sembrano morirle in gola…”
OUTING, TRICKERY ed EXPOSURE
Si riferisce alla diffusione, condivisione in rete di informazioni personali, di segreti o immagini personali; in genere la persona viene persuasa con l’inganno, a rivelare tali informazioni al fine poi di renderle pubbliche in rete. Viene vissuto come un vero e proprio tradimento affettivo.
Trickery significa inganno, ed è uno degli attacchi più subdoli: da solo o con un complice, il cyberbullo conquista la fiducia del target (magari proprio offrendole il suo aiuto per non subire più prepotenze!), per poi pubblicare online tutto quello che si sono detti, ridendoci su.
“Giada è molto timida e nella sua classe ha stretto pochi legami. Maria, invece, è una ragazza estroversa, divertente, che ha sempre la battuta pronta. I ragazzi le fanno una corte spudorata e le ragazze la guardano con un misto di invidia e ammirazione.
Un pomeriggio, Giada riceve una notifica inattesa: Maria le ha scritto un messaggio su Facebook! Il cuore le palpita mentre scorre le righe: la ragazza ha composto una vera e propria dichiarazione. Dice che le dispiace vederla sempre in disparte e che, se ha bisogno di confidarsi, lei è pronta ad ascoltarla. Giada esulta e non crede ai suoi occhi: Maria vuole diventare sua amica!
Stranamente, però, il giorno dopo, Maria la saluta di sfuggita, dedicandole lo stesso tempo che le ha riservato fino a quel momento. Ma dopo un attimo Giada riceve un altro messaggio in cui Maria si scusa per non essersi fermata a chiacchierare. A scuola, dice, ci sono troppi impedimenti e distrazioni, e lei preferirebbe dedicarle tanto tempo. “Meglio parlare qui, dove abbiamo tutto il tempo del mondo".
E così inizia un bellissimo rapporto di confidenza e Giada comincia finalmente ad aprirsi. Maria, dal canto suo, la ascolta e le dà consigli, soprattutto su quella sua cotta segreta per il biondino di terza che, per fortuna, non sa niente.
Tutto va bene fino al giorno in cui Giada riceve un messaggio strano via Facebook: è Luigi, un altro suo compagno, che le indica, sul medesimo social, un gruppo pubblico dal nome sinistro. Si chiama: "Povera Giada affranta del destino". Dentro il gruppo ci sono alcuni compagni di classe, ma anche tanti estranei, e la cosa che li accomuna è il ridere a crepapelle sotto i post che vengono pubblicati.
Sono gli screenshot delle conversazioni che Giada ha avuto con Maria, ognuno accompagnato da un commento crudele. Il momento in cui ha confessato il suo amore per il biondino viene definito "eterno e impossibile", mentre la conversazione sul suo esser timida è chiamata "la noia in persona".
Giada sente scorrere le lacrime lungo il volto. Vorrebbe parlare con Maria, chiederle perché ha fatto questo... ma quelle parole cattive le rimbombano in testa più che mai.”
L'OUTING si verifica quando il cyberbullo pubblica online a nome della vittima, delle informazioni imbarazzanti su di lui. Spesso avviene quando la vittima lascia il computer o smartphone incustoditi e con gli accessi ai social network aperti.
“La terza B è tornata dalla gita di due giorni. I ragazzi e le ragazze sono ancora euforici per la vacanza con la scuola e non fanno che parlarne. Il gruppo di Whatsapp di classe è tempestato di foto: ognuno ne ha scattate una miriade ai compagni, e vuole condividerle per ricordare quei momenti divertenti e imperdibili appena vissuti.
Melania, ad esempio, manda solo foto di gruppo. In gita, è stata oggetto di sbuffi continui perché faceva fermare i compagni ogni tre passi per fare uno scatto “tutti assieme”. Alice, invece, ha fatto un servizio fotografico della partita di calcio del primo giorno e i maschi apprezzano tantissimo i suoi scatti.
Così nei giorni seguenti al ritorno, Whatsapp è pieno di foto e commenti divertiti.
Stranamente i maschi condividono pochi scatti: sembra quasi che non abbiano fatto foto. Il silenzio viene rotto da Giacomo, uno dei più timidi della classe che, improvvisamente, posta un selfie scattato in quella che sembra essere la camera dove alloggiava con i compagni durante la gita: lo scatto lo riprende appena sveglio, con i capelli arruffati e un pigiama rosso e bianco. Assieme allo scatto, Giacomo scrive "Sono bello, vero?". La risposta non si fa attendere, e più o meno tutti rispondono con risate ed emoticon sorridenti.
Nessuno si sarebbe mai aspettato questa improvvisa sfacciataggine da Giacomo: lui così timido e riservato, improvvisamente sta riempiendo la chat di classe con i suoi selfie. E allo scatto in gita, segue lo scatto di Giacomo che si atteggia davanti allo specchio, mentre abbraccia un cane oppure mentre mostra i muscoli in giardino. Ogni scatto ha sempre un commento orgoglioso e causa ulteriori risate.
Ma non è Giacomo che sta mandando le foto perchè sta giocando una partita a calcio e ha lasciato il suo smartphone nello zaino. Il gesto non è passato inosservato a Luca, che ha deciso di divertirsi un po' non avendo voglia di rincorrere la palla assieme agli altri. Per questo motivo ha afferrato lo smartphone del compagno ed ha dato un'occhiata alle foto presenti nell'archivio dell'apparecchio in cerca di quelle più imbarazzanti o buffe. Una volta selezionate, ha dato inizio alla condivisione e ogni volta che invia un nuovo scatto, Luca sogghigna divertito pensando che sia uno scherzo favoloso.
Giacomo intanto, noncurante di quello che sta accadendo al suo smartphone, ha appena segnato un gol. Era tanto che non gli capitava ed esulta felice abbracciando il suo amico Marco.
Peccato che non sappia ancora che, il giorno dopo, sarà chiamato "Fissato dei selfie" da tutta la classe e che quell'odioso soprannome non lo abbandonerà per i mesi a venire.”
L’ EXPOSURE vuol dire rivelare informazioni, veritiere o estorte, oppure particolari che riguardano la vita privata di qualcuno senza che questi abbia la possibilità di rimediare. In questo caso non si tratta però di vere e proprie confidenze fatte da parte della vittima.
SEXTING
Già dagli 11 anni di età, in tanti sono i ragazzi tentati dalla moda di scattarsi selfie intimi, senza vestiti o a sfondo sessuale e di inviare le immagini o i video al proprio fidanzatino, agli amici, nelle chat di gruppo. Si chiama sexting e parliamo di una pratica messa in atto abitualmente dal 6% dei preadolescenti dagli 11 ai 13 anni, di cui il 70% è costituito da ragazze. I numeri salgono al crescere dell’età: infatti, tra i 14 e i 19 anni, la proporzione è di circa 1 adolescente su 10.
Il termine deriva dall’unione di sex (sesso) texting (pubblicare testo) e indica lo scambio o la condivisione di testi, video o immagini sessualmente espliciti che spesso ritraggono se stessi. Spesso gli adolescenti scambiano questo comportamento per un gioco che può però avere risvolti tali da alterare significativamente la loro vita ed esplodere in situazioni drammatiche. Nel sexting è la dimensione della fiducia ad essere mal interpretata e confusa. I ragazzi che diffondono le loro immagini pensano di potersi fidare ciecamente dei loro amici ma vengono traditi nel momento in cui a causa di litigi o altre motivazioni la relazione si interrompe e le immagini vengono diffuse. Gli adolescenti che postano selfie provocanti non decidono in autonomia l’immagine che vogliono dare di sé ma assecondano ciò che gli altri desiderano vedere in loro (figure ammiccanti e più grandi della loro età). Tale fenomeno alimenta la frattura tra la dimensione sessuale e quella del sentimento. Ha più a che fare con l’esibizione di sé stessi che con l’espressione delle emozioni dal momento che favorisce l’esibizione pubblica di comportamenti sessuali automatizzati in una sfera che è sempre stata privata.
Revenge porn: ci si vendica anche degli amici
Le ragazze, quindi, sono la categoria più a rischio dal punto di vista della diffusione di materiale intimo e privato e spesso sono anche vittime della cosiddetta revenge porn (la ‘vendetta pornografica’). Questo fenomeno si verifica quando l’ex partner si vendica per essere stato lasciato o tradito, pubblicando sui social o nelle chat materiale di natura sessuale, al solo scopo di procurare danno all’altra persona e di esporla alla pubblica gogna. Può succedere anche nelle amicizie, dove ci si vendica di un torto subito inviando contenuti intimi. Le conseguenze, non solo psicologiche ma anche sociali, sono spesso devastanti per le vittime, anche per quelle che non arrivano al gesto estremo del suicidio.
Ma quali sono gli aspetti caratteristici di questo tipo di comportamento?
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Fiducia: spesso i ragazzi/le ragazze inviano proprie immagini o video nudi o sessualmente espliciti perché si fidano della persona a cui stanno inviando il materiale. Mostrano una scarsa consapevolezza che quello stesso materiale, se il rapporto (amicale o di coppia) dovesse deteriorarsi o rompersi, potrebbe essere diffuso come ripicca per quanto accaduto.
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Pervasività: le possibilità che offrono i telefonini di nuova generazione permettono di condividere le foto proprie o altrui con molte persone contemporaneamente, attraverso invii multipli, condivisione sui social network, diffusione online;
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Persistenza del fenomeno: il materiale pubblicato su internet può rimanere disponibile online anche per molto tempo. I ragazzi, che crescono immersi nelle nuove tecnologie, non sono consapevoli che una foto o un video diffusi in rete potrebbero non essere tolti mai più.
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Non consapevolezza: i ragazzi spesso non sono consapevoli di scambiare materiale pedopornografico.
Il bisogno di apparire e di «essere visti» contribuisce a spiegare non solo l’impennata nelle iscrizioni ai social network, ma anche l’incessante bisogno di farsi dei selfie.
Da una recente ricerca condotta su più di 15000 adolescenti italiani (2014), uno/a su 4 se ne fa almeno uno al giorno, l’85% ne condivide almeno qualcuno sui social ed il ricorso ai programmi di fotoritocco prima di postare le proprie foto (53%, ovvero 1 ragazzo/a su 2) (Doxa kids, 2014).
La stessa ricerca ha evidenziato che il 36% dei ragazzi conosce qualcuno che ha fatto sexting e il 13% dei ragazzi si è iscritto o ha scaricato una app di incontri (tra i maschi 17%).
Da una ricerca recente (2013) di una helpline europea (Kids Help Phone) con i propri utenti, è emerso che essi sono soliti fare sexting per (in ordine dal più al meno comune):
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per divertirsi o per il piacere sessuale: “lo faccio per divertirmi”
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come risultato della pressione di altri: “lo faccio perché mi è stato chiesto ripetutamente”
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per regalare qualcosa di sè a una persona che piace: “lo faccio per il/la mio/a ragazzo/a”
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per esplorare la propria sessualità: “ero curioso/a”
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come scherzo o per combattere la noia: “è un gioco tra amici”
E’ importante sapere inoltre che il fenomeno interessa sia i ragazzi che le ragazze, anche se sono prevalentemente i ragazzi sia a inviare che a ricevere sms/mms a sfondo sessuale. 9 genitori su 10 ritengono invece impossibile che il figlio possa spogliarsi e mettere sue immagini/video online (fonte: Eurispes, 2012).
SEXTORTION
Il Sextortion, o ricatto sessuale, consiste nel minacciare di rendere pubbliche le informazioni private di una vittima a meno che questa non paghi dei soldi all’estorsore. In un’era digitale come la nostra, le informazioni potrebbero includere frammenti di messaggi di testo sessuali (sexts), foto private e anche video. I criminali generalmente chiedono denaro anche se a volte cercano materiale ancor più compromettente (inviaci altro o rendiamo tutto pubblico). La maggioranza dei target non sono adolescenti - secondo la polizia, nel 2017 a fronte di più di mille vittime maggiorenni solo 25 hanno tra i 14 e i 18 anni, anche se su questa statistica potrebbe pesare la tendenza dei giovanissimi a non chiedere aiuto alla polizia - perché si tratta di quella parte della popolazione che non ha soldi da gettare al vento. Nonostante questo restano l'obiettivo perfetto perché nell'adolescenza ci si trova a coltivare nuovi tipi di rapporti, solitamente senza alcun tipo di guida. Il risultato può essere il sogno di un cybercriminale: tante informazioni che dovrebbero essere protette, ma che non lo sono e che appartengono a gente vulnerabile dal punto di vista emotivo e che si vergogna facilmente. Le vittime temono la condanna pubblica; chiedere aiuto vorrebbe dire rivelare segreti che cercano di nascondere disperatamente. E gli adolescenti sono molto vulnerabili. Il sextortion può provocare seri danni psicologici o anche tentativi di suicidio (almeno quattro quelli documentati in Italia).
LE ARMI DEL CYBERBULLO:
WARNING WARS: guerre di segnalazioni, spesso false, per ottenere la chiusura dell’account del target (utilizzato soprattutto nei casi di exclusion).
SCREEN NAME: denigrare il target spacciandosi per esso/a, utilizzando un username simile
TEXT WAR: gruppo che si coalizza contro un singolo e invia centinaia di sms dal numero di telefono del target
INTERNET ROLLING: Creazione di sondaggi online finalizzati a offendere qualcuno. (es: «chi è il compagno di classe più sfigato»)
E-MAIL E ISTANT MESSAGING: le vittime vengono inserite tra gli utenti di siti pubblicitari o porno.
1.7 Le cause del bullismo e del cyberbullismo
1.7.1 Le cause del bullismo
I contesti individuali, familiari e sociali rappresentano fattori di rischio che incidono sul comportamento dei ragazzi e che determinano l’aggressività di un aggressore.
A livello individuale possono riferirsi al temperamento, alla predisposizione verso giochi maneschi, alla diagnosi accertata (o la tendenza) verso un deficit di attenzione e di iperattività, alle limitate competenze e capacità di problem solving. Nei ragazzi tendenzialmente più «irruenti» e con «un carattere forte» sussiste una maggiore probabilità di sviluppare in futuro comportamenti da aggressore. Ciò, ovviamente non costituisce una certezza, ma a livello statistico, è stato verificato che i bambini che vengono considerati più vivaci, tendono nel tempo ad essere maggiormente aggressivi e avere manifestazioni tendenti al bullismo: ragazzi amanti dei «giochi di contatto», perennemente pronti ad intervenire in ogni situazione, tendenzialmente poco timidi. Chi invece ha un temperamento più tranquillo e viene definito come un ragazzo timido, che non ama il rischio, il classico «bravo ragazzo» in poche parole, svilupperà con più difficoltà tali atteggiamenti. Si tratta ovviamente di percentuali: è più o meno probabile, ma non «certo» o «da escludersi». Anche la propensione verso giochi e atteggiamenti maneschi costituisce un altro fattore di predisposizione allo sviluppo di comportamenti tendenti al bullismo. Infine la presenza di una limitata competenza di problem solving, (intesa come la capacità di trovare soluzioni più efficaci ed adeguate in risposta ai gesti altrui), può essere considerata come una caratteristica di rischio: il soggetto effettivamente non riesce a relazionarsi in modo adeguato con gli altri perché non possiede gli strumenti che glielo permettono.
Attraverso l’analisi del raggruppamento diagnostico dei ‘Disturbi da deficit di attenzione e da comportamento dirompente’ presente nel DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) è facile intuire come il bullismo si possa collocare a cavallo tra il disturbo della condotta e quello oppositivo-provocatorio.
Il Disturbo della Condotta è caratterizzato da una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri oppure le norme o le regole della società vengono violate. Questa tipologia di comportamento è presente in diversi ambienti e può causare compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico, o famigliare.
I bambini e gli adolescenti possono mostrare un comportamento prepotente, minaccioso, o intimidatorio; essere fisicamente crudeli con le persone o con gli animali; danneggiare deliberatamente le proprietà altrui ecc..
La sfera affettiva risulta compromessa, infatti, nel momento in cui il soggetto compie l’azione violenta non sperimenta alcun rimorso o empatia per la propria vittima, ma reagisce con profonda frustrazione e alta reattività agli stimoli arrivando a compiere vere e proprie violenze (DSM-5 American Psychiatric Association, 2014).
Il Disturbo Oppositivo Provocatorio, invece, non si manifesta con atti di aggressività diretta quanto piuttosto attraverso un atteggiamento negativistico, provocatorio, disobbediente ed ostile nei confronti delle figure che rappresentano l’autorità, in particolare gli adulti. L’ostilità e la provocazione sono espresse con persistente caparbietà, resistenza alle direttive, scarsa disponibilità al compromesso, alla resa o alla negoziazione sia con gli adulti che con i coetanei (DSM-5 American Psychiatric Association, 2014). Questo tipo di disturbo è meno grave del precedente ma può evolvere in Disturbo della Condotta quando si trasforma da comportamento naturale per una determinata fase evolutiva a oppositività anomala e persistente, che inficia tanto le relazioni sociali quanto il rendimento scolastico (DSM-5 American Psychiatric Association, 2014). Molteplici sono i modelli teorici che hanno cercato di spiegare l’aggressività e il bullismo e, per meglio comprendere i fattori del disagio o della devianza, solitamente i ricercatori si sono concentrati su due direttrici di ricerca: da un lato un approccio fortemente ambientalista che attribuisce l’origine causale dei comportamenti ‘devianti’ a fattori socio-familiari; dall’altro troviamo l’approccio genetico - biologico che riduce i fattori di rischio alle componenti costituenti del singolo (Rutter, Giller, & Hagell, 1998). La ricerca ha sottolineato come, sia la teoria dell’interazione sociale, sia la teoria del controllo sociale contengano in nuce quelli ritenuti come i principali fattori della devianza (Patterson, Reid, & Dishion, 1992). Entrambe le teorie affermano che la personalità del bambino si struttura a partire dalla relazione con i genitori, i quali diventano agenti di facilitazione dei valori convenzionali e conseguentemente dell’acquisizione delle funzioni di controllo (ibidem). È la teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1989) che chiarifica la funzione protettiva che una relazione sana con il caregiver può assumere nello sviluppo del bambino, o al contrario, quanto un rapporto conflittuale possa divenire sinonimo di difficoltà nel processo di crescita. Inoltre, non bisogna dimenticare, un’ampia parte di letteratura che evidenzia come episodi di bullismo, subiti e perpetrati, nell’infanzia e nell’adolescenza abbiano forti probabilità di sfociare in gravi disturbi della condotta in tarda adolescenza e nell’età adulta (Menesini, 2000). Oliverio Ferraris (2008) schematizza le cause originarie degli atti persecutori affermando che il bullismo si fonda su un disagio familiare che spinge il soggetto a mettere in atto comportamenti vessatori essenzialmente per due differenti motivazioni: apprendimento e rivalsa. Nel primo caso il soggetto ripropone in classe il modello di comportamento violento appreso in famiglia. Nel secondo, riattualizza ciò che ha appreso come vittima di aggressioni, invertendo però il proprio ruolo. Tali teorie sono fondamentali per comprendere il fenomeno del bullismo, ma se prese singolarmente non risultano esaustive, infatti, questo tipo di comportamento aggressivo non lascia spazio a modelli causali unilineari, in quanto si presenta come fenomeno multicomponenziale derivante dall’interazione di numerosi fattori, distali e prossimali, che ne spiegano non solo le differenti tipologie, ma anche le variegate traiettorie evolutive e i molteplici tassi di stabilità o mutamento nel tempo (Fedeli, 2007). A tal proposito una variabile importante e, che spesso viene sottostimata, è il periodo di insorgenza dei comportamenti bullistici, indice fondamentale di cronicità e/o transitorietà del fenomeno nel tempo. La comparsa, già a partire dai primi anni della scuola dell’infanzia, di comportamenti violenti – non solo rivolti ai compagni ma anche diretti verso gli adulti – in associazione ad una modulazione emozionale molto compromessa, presenta una forte stabilità nel tempo e cross-situazionale che può condurre con maggiore probabilità alla cronicizzazione di tali comportamenti e a forme di aggressività di gravità sempre maggiore (Fedeli, 2006). Le azioni aggressive, che insorgono in età adolescenziale, al contrario, assumono una valenza prioritariamente relazionale con lo scopo di far assumere al singolo un’identità, di ruolo e posizione, all’interno del gruppo e quindi la loro natura è prettamente situazionale e limitata nel tempo (Vitaro, Tremblay, & Bukowski, 2001), anche se la particolare fase di insorgenza, già di per sè caratterizzata da turbamenti e cambiamenti, ha canalizzato l’attenzione degli studiosi della materia più sulle criticità evidenziabili nelle fasi di sviluppo precedenti. Alcuni studiosi americani (Loeber & Hay, 1997), per esempio, si sono occupati di rintracciare l’età di insorgenza di tre diversi tipi di aggressività, suddivisi per livelli di gravità, giungendo alla constatazione empirica che è possibile tracciare un ordine di insorgenza in relazione alla maggiore o minore gravità delle forme aggressive, ma soprattutto, hanno verificato che i fenomeni antisociali, con livelli di gravità più elevati si presentano proprio durante il periodo adolescenziale, a conferma, non solo della natura relazionale di tali comportamenti durante la fase adolescenziale della vita degli individui, ma anche della maggiore incapacità degli adolescenti stessi di gestione delle proprie emozioni e di predilezione per le modalità comportamentali di passaggio all’atto.
Nell’ambito familiare, comportamenti particolarmente aggressivi da parte dei genitori o errati stili educativi come quello permissivo, o eccessivamente autorevole, distratto o autoritario, possono determinare l’insorgenza del fenomeno del bullismo.
Genitori che spesso hanno atteggiamenti aggressivi o ricorrono frequentemente alla violenza costituiscono un errato modello di riferimento. Per questo motivo, i bambini che vivono in ambienti familiari ostili hanno maggiore predisposizione a sviluppare poi comportamenti da bullo. Dunque, le famiglie nelle quali sono diffusi atteggiamenti al limite della legalità, o chiaramente delinquenziali, sono ovviamente ambienti a più elevato rischio. Ma anche una scarsa attenzione alle abitudini, alle esigenze, alle passioni e agli interessi dei propri figli e il disinteresse o il disimpegno educativo nei loro confronti, influisce sullo sviluppo e sui comportamenti dei ragazzi: a volte i genitori sono totalmente impreparati rispetto ciò che accade quotidianamente ai loro figli.
Altresì, l’imposizione di regole severe da parte loro, che poi però non vengono fatte rispettare, promesse di punizioni che poi non hanno un seguito o anche reazioni esagerate che si alternano ad atteggiamenti di indifferenza, determinano l’incremento di condotte scorrette dei ragazzi, che, a seguito di ciò, non riescono realmente a comprendere e capire la gravità delle loro azioni.
Il gruppo di amici, l’ambiente scolastico e quello sociale rappresentano fattori di influenza a livello sociale.
Il bullismo è anche, e soprattutto, un fenomeno di gruppo caratterizzato da una dinamica particolare, nel quale giocano un ruolo decisivo non solo i giovani che commettono atti di bullismo e i target ma anche tutti quei soggetti che sembrano non coinvolti o che sono sostenitori degli uni o degli altri (Salmivalli, Lagerspetz, Bjorkqvist, Osterman, & Kaukiainen, 1996). Il gruppo, in tali situazioni, assume le sembianze di una monade (Anzieu, 1986), funziona come un’unità che si auto-sostanzia nel bisogno dei suoi membri di avallare le reciproche angosce tramite la condivisione. La gruppalità adolescenziale, in modo specifico, tende ad assumere un compito autoreferenziale che riguarda il benessere del gruppo. La condivisione diventa, dunque, la condizione identificativa e definitoria del gruppo, lasciando all’esterno le sembianze del minaccioso. Quindi, in una costante interazione tra il dentro (da salvaguardare) e il fuori (il nemico), l’azione diviene l’espressione della frustrazione interna che deve essere scaricata, allontanata verso qualcosa di altro da sé: la vittima (Ingrascì & Picozzi, 2002). In quanto fenomeno collettivo non può prescindere dal contesto nel quale viene agito, ovvero la scuola (Lagerspetz, Bjorkqvist, Berts, & King, 1982). Dai primi lavori di Olweus (1983), condotti su oltre 130.000 ragazzi norvegesi tra gli 8 e i 16 anni, l’autore trovò come il 15% degli studenti era coinvolto, come attore o target, in episodi di prepotenza a scuola. Successivi studi hanno confermato l’incidenza e la diffusione di questo fenomeno nelle scuole. Nella nostra realtà nazionale, i primi dati raccolti negli anni ’90, su un campione di 1.379 alunni tra gli 8 e i 14 anni indicano come il 42% di alunni nelle scuole primarie e il 28% nelle scuole secondarie di primo grado riferiscano di aver subito prepotenze (Menesini, 2003). Questi studi permettono quindi di evidenziare come la scuola possa diventare possibile luogo di persecuzione e violenza (Petrone & Troiano, 2008) e come i soggetti coinvolti possano sintetizzarsi in tre categorie: persona che commette atti di bullismo, il target, il gruppo.
La persona che commette atti di bullismo, all’interno del gruppo tende spesso a ricercare compagni che possano sostenerlo e che approvino i suoi comportamenti.
Quando infatti egli mette in atto un’aggressione nei confronti di altri soggetti più deboli, riceve attenzione e consenso da parte dei compagni che lo vedono come un coraggioso, un «eroe». Ciò provoca in lui una gratificazione e soddisfazione, che lo porta a ripetere nuovamente le sue azioni. Questo atteggiamento, che può essere anche contagioso e reiterato dagli osservatori, tende, dunque, a promuovere e accettare le forme di bullismo: si parla appunto di «contagio sociale», in quanto i ragazzi per affermarsi anche loro nel gruppo, seguono l’esempio di coloro che commettono atti di bullismo.
È di fondamentale importanza, invece, nell’ambito scolastico, l’alleanza educativa tra scuola e famiglia. Infatti, così come l’atteggiamento dei genitori tenuto in casa, ha un’influenza sul comportamento dei figli, anche quello degli insegnanti incide sulla loro condotta a scuola. Gli insegnanti dunque, cercheranno di collaborare con i genitori per attuare una corretta educazione dei ragazzi e dovranno avere comportamenti coerenti, condannando e punendo severamente gli atteggiamenti da bullo che si verificano a scuola.
La sensibilizzazione verso la sofferenza degli altri, la valorizzazione dell’empatia unitamente alla conoscenza delle emozioni, sono certamente fattori da sottolineare sia nell’ambito familiare che in quello scolastico.
1.7.2 Le cause del cyberbullismo
Un utilizzo eccessivo di Internet, l’accesso alla rete senza un controllo da parte degli adulti e l’utilizzo di videogiochi violenti possono essere considerate alcune delle cause che possono determinare l’insorgenza del cyberbullismo.
La vittima in genere è un soggetto che utilizza più frequentemente il web rispetto ai suoi coetanei e per questo più facilmente oggetto di bersaglio da parte dei cyber bulli.
Un primo accorgimento può essere certamente quello di utilizzare il pc in una parte centrale della casa in cui i genitori possano supervisionare la navigazione in rete. La mancata consapevolezza da parte dei ragazzi relativamente alla diffusione di immagini, video e informazioni personali costituisce inoltre un’altra componente pericolosa da non sottovalutare: spesso condividono con troppa superficialità le proprie informazioni rendendole accessibili e disponibili a tutti.
Infine, l’utilizzo di videogiochi violenti tendono a rafforzare nel cyberbullo l’idea che gli insulti e le minacce sul Web possano essere considerati solo come un gioco e non come delle vere e proprie violenze virtuali.
Le famiglie dei bulli e dei cyber bulli sono spesso ambienti caratterizzati da un clima aggressivo ostile, in cui vi è una scarsa accettazione dei figli o in cui vigono modelli educativi eccessivamente autoritari e violenti. In alcuni casi i genitori sono smisuratamente permissivi o esageratamente noncuranti dei bisogni educativi dei ragazzi. Ciò può portare alcuni di loro ad assumere atteggiamenti e comportamenti di prevaricazione, che possono anche avere gravi effetti sugli altri.
In alcune circostanze inoltre, l’incoerenza tra azioni e comportamenti educativi può portare allo sviluppo di comportamenti particolarmente aggressivi nei bambini o ragazzi, questo perché essi non sono capaci di prevedere le reazioni dei propri genitori e riconoscere anche quelle degli altri: determinati atteggiamenti o parole che si presentano come innocenti, vengono interpretate da loro come offensive o violente e dunque meritevoli di una punizione. Ciò spiegherebbe la loro forte ostilità nei confronti degli altri e i loro ingiustificati attacchi di violenza contro coetanei e adulti.
E’ importante evidenziare che anche la famiglia di un giovane che commette atti di bullismo è una famiglia in difficoltà. In genere quando i ragazzi sono così aggressivi e oppositivi alle norme sociali, è perché anche all’interno della loro realtà familiare, sussistono delle problematiche in cui non esistono regole definite e spesso i giovani non solo vivono una condizione di estremo abbandono, autonomia e di autosufficienza senza accudimento, ma si ritrovano a vivere in un ambiente privo di regole ben distinte e definite.
1.8 Conseguenze sociali del bullismo e del cyberbullismo
Le conseguenze derivanti da tale fenomeno variano a seconda del soggetto a cui si fa riferimento. L’atteggiamento di prevaricazione attuato da parte del bullo, se reiterato nel tempo, tende a diventare parte integrante della sua personalità. Avviene quindi un avveramento dello stereotipo.
Nel breve termine le possibili conseguenze per i giovani che commettono atti di bullismo si riferiscono alla manifestazione di disturbi della condotta a causa dell’incapacità di rispettare le regole, un peggioramento o un basso rendimento scolastico, una difficoltà a stringere relazioni con gli altri.
Nel lungo termine invece i comportamenti attuati dai bulli possono sfociare in comportamenti antisociali, devianti, che comprendono crimini, atti di vandalismo, abuso di sostanze, ripetute bocciature e relativo abbandono scolastico, violenza in famiglia e aggressività sul lavoro.
Nel target si verificheranno altre conseguenze a seguito delle violenze subite.
Gli stessi dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza parlano chiaro. Tra gli adolescenti che sono stati vittime di cyberbullismo (il 6,5%), il 65% ha dichiarato di sentirsi DEPRESSO o TRISTE, il 30% ha messo in atto CONDOTTE AUTOLESIONISTICHE, il 40% ha pensato di farla finita mentre l’11% è arrivato al TENTATIVO DI SUICIDIO.
In generale, tenderà a diventare sempre più insicura ed ansiosa fino al punto di cadere in depressione. Avvertirà un forte desiderio di fuggire dalla realtà, la sua autostima subirà un calo drastico e facilmente arriverà a somatizzare anche fisicamente il suo disagio interiore. Nei casi più gravi la sensazione di depressione e tristezza potrebbe portare a tentativi di suicidio.
Nel breve termine le conseguenze maggiormente riscontrabili possono riferirsi a sintomi fisici come frequenti mal di pancia, mal di stomaco o mal di testa, che si manifestano soprattutto la mattina prima di andare a scuola. E’ possibile che la vittima percepisca una difficoltà a concentrarsi o ad apprendere ciò che studia con un ovvio e conseguente calo del rendimento scolastico.
Tra gli imminenti sintomi psicologici si possono riscontrare:
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disturbi del sonno o incubi notturni
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attacchi di ansia o di panico
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calo della propria autostima
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svalutazione della propria identità.
Ciò si ripercuoterebbe anche a livello sociale in quanto la vittima tenderebbe poi nel tempo ad isolarsi dagli altri e non avere alcun tipo di relazione con i propri coetanei.
Le aree in cui si evidenzia il disagio dei target di bullismo e cyberbullismo sono:
AREA COMPORTAMENTALE:
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Auto-aggressività
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Autolesionismo (farsi del male intenzionalmente da soli)
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Resistenza ad andare a scuola fino all’abbandono scolastico
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Suicidio
AREA AFFETTIVO-RELAZIONALE:
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Mancanza di autostima
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Ansia
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Depressione
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Mancanza fiducia negli altri
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Ritiro sociale
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Instabilità emotiva
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Solitudine
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Rifiuto dei pari e delle attività ricreative
AREA COGNITIVA:
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Difficoltà di concentrazione
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Problemi di apprendimento
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Calo nel rendimento scolastico
AREA PSICOSOMATICA:
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Insonnia
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Incubi
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Risvegli notturni
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Mal di testa
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Mal di pancia
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Salute cagionevole
A lungo termine subire violenze potrebbe comportare l’insorgenza di sintomi depressivi, comportamenti autolesivi e autodistruttivi, abbandono della scuola, chiusura e isolamento nei confronti degli altri. Difficilmente infatti le vittime riescono a parlare della loro problematica con adulti o amici: si vergognano perché pensano di essere deboli, incapaci di reagire e pur di evitare di ricevere giudizi da parte degli adulti, preferiscono nascondere il problema e sopportare il dolore in solitudine.
Le conseguenze possono riguardare infine anche gli eventuali aiutanti, sostenitori e soggetti esterni nei quali si instaura un senso profondo di sfiducia nei confronti degli altri: comprendono che tutti pensano per primi ai “fatti propri” e arrivano alla conclusione che a vincere è sempre il più forte, anche se quello che fa è sbagliato.
Keaton Jones e le vittime di bullismo da adulte
Il web è decisamente un vortice di informazioni e venirne risucchiati è questione di un attimo: una volta tra i flutti, è praticamente impossibile uscirne fuori e, se una notizia diventa virale, è come avere la propria vita proiettata su un enorme schermo in mondovisione. Chi sa se la madre di Keaton Jones aveva presente questo effetto dell’uso di internet quando ha postato un video con suo figlio qualche giorno fa: nel video, il ragazzino di scuola media si lamentava fino alle lacrime di essere bullizzato dai suoi compagni di classe ed era terrorizzato dal dover tornare in mensa, dove avveniva la maggior parte degli attacchi.
Essere target dei bulli può essere considerata una forma di abuso infantile, alla stregua di maltrattamento e trascuratezza genitoriali, per l’impatto negativo sul benessere delle vittime e il rischio di sviluppare problemi di salute mentale. L’entità del bullismo può essere quella di un vero e proprio trauma, in quanto causa cambiamenti a lungo termine nel cervello: incrementa la produzione degli ormoni dello stress, come il corticosterone, che possono rimanere in grandi quantità nel cervello anche molto tempo dopo l’esposizione agli episodi di bullismo. Questi ormoni si concentrano nelle aree del cervello che processano gli stimoli associati al rinforzo: questo, assieme ad altri fattori, potrebbe aumentare il rischio di abuso di sostanze, come succede con altri tipi di stress cronico.
Leggendo notizie del genere, si potrebbe pensare che il bullismo è un problema confinato a infanzia e adolescenza. Pochi infatti si fermano a pensare che i ragazzini come Keaton un giorno saranno adulti e noi tutti nella nostra vita ci portiamo dietro uno zaino fatto delle nostre esperienze. Le esperienze negative, proprio come quelle positive, faranno per sempre parte di noi e, nel caso delle vittime di bullismo, possono essere un carico pesante da trascinarsi dietro.
Quello che emerge dalla ricerca è che gli effetti del bullismo sono misurabili per tutto l’arco della vita, con conseguenze negative sulla salute mentale, fisica e cognitiva, sul funzionamento sociale e persino sul lato economico. Le vittime, in particolare i maschi, mostrano più gravi sintomi di depressione e autostima più bassa nella prima parte della loro vita da adulte. Le idee suicidarie sono anche più prevalenti, mentre in generale gli adulti una volta vittime di bullismo riportano una bassa qualità della salute e della vita. Non solo percepiscono minore soddisfazione ma le ex-vittime non vedono un miglioramento nel futuro. Anche sul lato economico i target di bullismo mostrano conseguenze negative a lungo termine: minori livelli di scolarizzazione, disoccupazione, salari meno alti. Dal punto di vista delle relazioni sociali, vi è una probabilità più bassa di sposarsi o vivere con un partner, di avere amici con cui instaurare una relazione stretta, di ricevere supporto sociale in caso di malattia.
L’impatto del bullismo è dunque pervasivo: molte aree della vita delle vittime ne sono influenzate negativamente e gli effetti sono riscontrabili a lungo termine. È dunque, sì, necessario che gli episodi di bullismo vengano interrotti, ma anche che le vittime siano in seguito supportate per ridurre non solo la portata di sofferenza psicologica (e in alcuni casi anche fisica), ma anche per aumentare la probabilità che diventino adulti con una qualità della vita paragonabile a coloro che non hanno dovuto sopportare un tale trauma. E, perché no, avere un approccio anche più positivo: come spesso succede, non è l’evento negativo ad avere l’impatto più significativo nella vita delle persone, quanto più l’uso della resilienza e, dunque, la capacità di affrontare e superare tale evento e trasformarlo in un’occasione di crescita.